Fine vita, più umanità
e meno ideologie

E’ iniziata alla Camera la discussione sulle «Disposizioni anticipate di trattamento». Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e volere, prevedendo una propria futura incapacità di autodeterminarsi, potrà esprimere le proprie preferenze in materia di trattamenti sanitari e scelte terapeutiche ivi comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali. Può inoltre indicare una persona di fiducia, che ne faccia le veci e lo rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie.

Se questo è il contenuto centrale della legge è chiaro che non consentirà il suicidio assistito, cioè non darà la possibilità di porre fine alla propria vita con mezzi forniti da medici, come è successo per il Dj Fabo. Nonostante i radicali si affannino a dire che la nuova legge lo avrebbe permesso, il testo del disegno di legge su cui si discute in questi giorni dice che non si può dare attuazione alle richieste dei pazienti che sono contrarie alla legge italiana e dunque la collaborazione al suicidio e l’eutanasia attiva rimangono reati. Per capirci l’eutanasia «attiva» c’è quando medici e infermieri che seguono un ammalato decidono volontariamente di accelerarne la morte, perché ritengono che abbia sofferenze inaccettabili o quando si è di fronte a una situazione che la medicina attuale giudica «senza soluzione» come lo stato vegetativo permanente. Il decesso viene provocato tramite somministrazione di farmaci.

Ma, escluse queste due possibilità, la discussione verte su un’altra forma di eutanasia detta «omissiva» che è data dalla sospensione di trattamenti o supporti di sostegno, come la nutrizione assistita, che sono essenziali a un ammalato per continuare a vivere. Stante l’attuale testo il medico «è tenuto» ad attuare le «disposizioni» indicate dal paziente o dal fiduciario. Anche se il paziente per questo dovesse morire. In aggiunta si dice che «il medico è esente da responsabilità civile o penale». In tal modo però la legge va già a contemplare l’ipotesi di atti che oggi prevedono sanzioni anche gravi. Se questo è vero allora si dovrebbe prevedere anche solo l’obiezione di coscienza per il medico, che invece è assente. Ci si chiede se questi passaggi delle legge potrebbero in futuro far rientrare tra i compiti degli ospedali anche l’assistenza al suicidio, oltre a snaturare la vocazione di cura delle professioni sanitarie. Non tutti i medici riuscirebbero a lasciar morire di fame e di sete una persona solo perché l’ha chiesto.

Come si potrebbe ovviare a questo esito? Tra i parlamentari c’è chi propone di inserire un divieto esplicito a qualsiasi forma di eutanasia. Tra medici c’è chi propone di spostare l’accento dal piano delle previsioni generalizzate a quello del contesto clinico. Per quanto riguarda nutrizione e idratazione diversa è la condizione del malato terminale da quella del disabile stabilizzato: ciò che nel primo caso potrebbe essere ostinazione terapeutica contro un esito ineluttabile nell’altro è doverosa assistenza, sottrarre la quale equivarrebbe ad aver deciso di affrettare la morte del paziente. Ma se bisogna valutare ogni singolo caso – perché ogni paziente è unico – prima di prendere delle decisioni, serve una legge per garantire il rispetto delle volontà del paziente o queste già dovrebbero essere considerate nel patto di fiducia che fonda il rapporto tra medico e paziente?

Chi legifera non dovrebbe poi sottovalutare le conseguenze di una cultura sanitaria sempre più influenzata da tendenze eutanasiche che porta a disinvestire risorse e ricerca per le cure palliative. Nel Report «Will your advanced directive be followed?» (2011) viene riportato che negli Usa la maggior parte delle legislazioni dei singoli stati mancano elementi di protezione per i pazienti e le famiglie che desiderano cibo, idratazione, supporti vitali e terapia del dolore quando le Organizzazioni sanitarie li ritenevano inadeguati sulla base di valutazioni relative alla qualità di vita. Per queste e altre ragioni speriamo ci sia una convergenza sincera su aspetti personali e sociali che stanno a cuore a tutti. Sarebbe grave se scelte di natura ideologica o timori di convergenze anomale prevalessero su argomenti di natura clinica, di deontologia professionale e di umanità vera.

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