Francia, Germania
e il rispetto per l’Italia

La richiesta di Macron di fissare i centri di prima accoglienza e di registrazione per migranti in Italia e in Grecia dice tutto della strategia francese. In Europa si erano abituati all´idea che i costi del politicamente corretto, del trattamento umanitario, dell’accoglienza, dell’inserimento sarebbero stati tutti pagati dall’Italia. Elogi sperticati e poi quando si trattava di spartire le quote dei rifugiati, tutti si tiravano indietro. È andata avanti per anni con ingressi incontrollati, guidati solo dal buon cuore. Fin quando è subentrata la ragione politica e si è capito che la capacità di recezione non è infinita, pena il rischio di perdere il controllo e quindi di creare più problemi di quanti si credeva di poter risolvere.

Al precedente ministro degli Interni, il democratico Minniti va il merito di aver invertito la tendenza. Ha preso accordi con le tribù libiche e fissato controlli nel Niger per disciplinare l’esodo dall’Africa profonda. Tutto da solo. Nel 2015 i rifugiati siriani premevano al confine terrestre della Germania, il governo tedesco li fece entrare, salvo subito dopo concordare con la Turchia un accordo privilegiato del costo di tre miliardi, rinnovabili nel tempo. Chi pagava? I tedeschi? Nemmeno per sogno: l’Unione Europea.

Gli ungheresi e il gruppo a Est (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia con aggiunta di Austria) si sono sentiti scavalcati da una decisione che riguardava tutti e non solo la Germania. Angela Merkel dice: ma era una situazione di emergenza e una decisione andava presa subito. Giusto, ma allora a quel punto è il Paese interessato che si fa carico delle scelte che fa. E l’accordo con la Turchia lo paga l’interessato. Quando l’Italia pone il problema di creare strutture nei Paesi di partenza del flusso migranti trova una certa reticenza. Perché allora questa liberalità con l’autocrate Erdogan e invece la ritrosia a finanziare centri di accoglienza in Libia e in altri Paesi dell’Africa? Forse perché a chiederlo è la Germania, mentre l’Italia non ha lo status?

In verità appoggiare l’Italia in Libia in questo momento significa rafforzarne la posizione nel Mediterraneo e quindi creare una sorta di quarta sponda che giova a Roma nel contesto internazionale. Proprio ciò che i francesi non vogliono, perché da tempo hanno sviluppato una strategia che mira a compensare la strutturale debolezza verso la Germania con politiche di espansione verso l’area mediterranea. L’attacco scriteriato mosso da Sarkozy a Gheddafi è stato il colpo di tromba che ha dato inizio alla campagna d’Italia, il vero obiettivo della mossa. Da allora sono seguite acquisizioni su acquisizioni a tamburo battente dal lusso di Bulgari, alle banche, alla grande distribuzione, sino al cuore del sistema, le Assicurazioni Generali di Trieste, che al loro vertice hanno infatti un francese. Come del resto Unicredit, banca nata dalla fusione con la tedesca Hypo Vereinsbank, adesso guidata dal transalpino Jean Pierre Mustier, con il fine malcelato di fondersi con la Société Générale. Luxottica di Del Vecchio è convolata a nozze con la francese Exilor.

La Francia ha bisogno dell’Italia per sopravvivere nell’Europa a guida tedesca, ma la vuole in posizione subordinata. Quando Macron attacca il governo intende far perdere legittimità ad un Paese che rappresenta la seconda manifattura d’Europa con un surplus nell’export che la Francia della grandeur si sogna. Averlo messo sul piatto della bilancia è dovere nazionale. L’Italia ha un governo legittimo e democratico e fa valere le sue ragioni. Anche a Parigi e dintorni dovranno farsene una ragione.

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