Guerra al terrore
finora un disastro

L’orrore, la disperazione il cordoglio. In questo momento siamo tutti solidali con le vittime di Bruxelles e con tutto il Belgio. E forte e unanime non può che essere la condanna, il che però non ci esime da qualche considerazione non emotiva. La prima: non è possibile che gli attentati si susseguano senza che nessuno, ai vertici politici e soprattutto di intelligence, ne paghi le conseguenze. L’Occidente sta combattendo da 15 anni quella che Bush nel 2001 definì «War on terror», guerra al terrorismo.

I risultati di quella guerra sono disastrosi: il mondo oggi è molto meno sicuro rispetto a 15 anni fa e il fondamentalismo islamico violento anziché regredire è sempre più diffuso nel mondo arabo. Al Qaeda è ridotta a poco più di un marchio, Osama Bin Laden è morto eppure oggi ci troviamo alle prese con l’Isis e con una galassia di piccoli gruppi uno più pericoloso dell’altro. Attaccare l’Iraq, la Libia, la Siria, rapire, torturare e imprigionare senza processi semplici sospetti, molti dei quali innocenti, ha avuto come effetto quello di spingere all’oltranzismo migliaia di giovani arabi che vedono nell’Islam l’unica risposta esistenziale. La strategia dai toni hollywoodiani, all’insegna del «con noi o contro di noi» è stata fallimentare e sarebbe ora che gli Usa e i loro passivi alleati europei riconoscessero gli errori commessi e considerassero la stabilità e l’appoggio ai regimi arabi laici di nuovo un valore irrinunciabile.

Ma c’è un altro errore che viene sottaciuto: oggi l’intelligence dispone di strumenti di monitoraggio notevolissimi, sia tecnologici sia di infiltrazione delle cellule, che resta peraltro il metodo più efficace nella prevenzione del terrorismo. Se analizziamo i retroscena degli attentati di New York, Londra, Madrid e Parigi ci accorgiamo che ogni volta ci sono stati segnali espliciti: prima dell’11 settembre diversi servizi segreti avvertirono la Cia che l’America stava per essere colpita ma non fu adottata nessuna misura particolare. Alcuni degli attentatori di Parigi erano ben noti ai servizi segreti francesi, così come a Londra ma questa circostanza è stata derubricata, mediaticamente, a una fatalità. In tutti gli attentati nelle capitali europee sono emersi errori macroscopici e anomalie, al punto che talvolta i risultati delle indagini sono state secretati facendo appello alla Ragion di Stato. Ma coprire non è una risposta accettabile in democrazia. Chi sbaglia e soprattutto chi sbaglia in maniera così evidente di solito paga. Perché non viene mai chiesto conto ai vertici dell’intelligence americana o francese o belga del loro disastroso operato? Come facciamo a sentirci al sicuro e avere fiducia nella prevenzione?

La seconda considerazione riguarda le finalità dell’Isis. La storia del terrorismo dimostra che gli attentati si propongono di raggiungere un obiettivo a breve – provocare choc e smarrimento – e uno a lungo. Che l’Isis voglia traumatizzare le popolazioni europee è evidente e l’obiettivo è stato, purtroppo, raggiunto, ma dopo? Cosa vogliono davvero? Siccome tutto si può dire tranne che questi pericolosi fanatici siano sprovvisti di intelligenza, è inverosimile che pensino davvero di poter instaurare uno Stato islamico in Europa, anche perché – se questo fosse lo scopo – avrebbero maggiori possibilità di successo se puntassero su un’invasione silenziosa e pacifica, tramite l’immigrazione, piuttosto che su attentati che provocheranno nuove restrizioni. Devono nutrire un’altra ambizione, un altro piano, ma quale? Altra domanda senza risposta. Tutti si indignano, tutti invocano nuove misure ma nessuno va oltre, nessuno si pone la più semplice delle domande: cui prodest? In fondo sarebbe logico. Ma, evidentemente, è chiedere troppo.

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