I poveri? Una risorsa
L’affondo del Papa

C’è lo scandalo della povertà a cui non bisogna rassegnarsi. C’è l’ingiustizia sociale, prodotto dell’avidità e dello sfruttamento. Insomma Lazzaro è sempre lì, davanti alla nostra porta e ha un volto, un nome, lacrime e mani tese, di fronte ad un mondo capace di creare ricchezza solo nella misura in cui contemporaneamente crea povertà. Ma della lotta alla povertà oggi non si parla quasi più, travolti dalla crisi. Lazzaro è una fastidiosa presenza che si allontana con una moneta. Eppure sono i volti che danno fastidio, sono i nomi e cognomi dei poveri e le loro storie drammatiche gli unici in grado di bucare l’indifferenza.

Papa Francesco ha deciso di metterli in fila, uno per uno, dedicando ai poveri una Giornata mondiale. Ma non sarà la giornata dell’elemosina, né del volontariato. E neppure sarà una giornata di indignazione. La Giornata mondiale dei poveri serve a scoprire la forza dei poveri, che, come scrive il Papa nell’ultima riga del Messaggio pubblicato ieri «non sono un problema», ma «una risorsa a cui attingere per accogliere e vivere l’essenza del Vangelo».

Paolo VI nel discorso con il quale aprì la seconda sessione del Concilio nel 1963 spiegò che i poveri appartengono alla Chiesa «per diritto evangelico». Nel Messaggio Bergoglio aggiunge l’obbligo all’opzione «fondamentale» per loro da parte della Chiesa. Non si tratta affatto di filantropia. La Chiesa non offre generosamente il proprio aiuto. Né i poveri sono una parte della Chiesa. Dietro alla decisione del Papa sulla Giornata c’è una disposizione squisitamente teologica, già oggetto di dibattito al Concilio Vaticano II.

Giovanni XXIII all’inizio del Concilio aveva parlato di «Chiesa dei poveri». Sull’argomento si era aperta una discussione tra i padri conciliari, spinta da un intervento del cardinale bolognese Giacomo Lercaro, probabilmente ispirato da Giuseppe Dossetti, sulla povertà come elemento decisivo dell’incarnazione del Figlio di Dio e sui poveri come «luogo teologico» cruciale dell’annuncio. Il Papa lo ricorda citando il Vangelo di Matteo dove i poveri sono chiamati «beati» e considerati gli «eredi» del Regno dei cieli. Ma quella discussione sulla profezia dei poveri, che venne ripresa nella Lumen Gentium, negli anni successivi al Vaticano II si affievolì e si trasformò in una sorta di approccio etico di buone pratiche caritative. Il rischio è quello indicato più volte sia da Joseph Ratzinger che da Bergoglio e cioè che la Chiesa venga concepita come una Ong tra le tante. Nella Chiesa invece l’opzione preferenziale per i poveri non è un fatto strumentale, ma, come spiegò bene Benedetto XVI nel discorso nel santuario mariano di Aparecida, dove era riunito tutto l’episcopato latino americano, Bergoglio compreso, «è implicita nell’annuncio evangelico».

Ieri presentando il Messaggio in Vaticano l’arcivescovo Rino Fisichella ha sottolineato che la Giornata «costituirà anche una genuina forma di nuova evangelizzazione». Quindi qualcosa in questi anni si è perso della profezia del Concilio e i poveri sono stati messi da parte e considerati una seccatura financo nella Chiesa. E la stessa povertà come connotazione decisiva di una Chiesa aderente al Vangelo è stata giudicata spesso un fastidio.

La frase «una Chiesa povera per i poveri» ha suscitato più imbarazzi che adesioni soprattutto in Europa e nel mondo occidentale. Non così in America Latina dove la teologia dei poveri, al netto delle interpretazioni ideologiche di una parte della teologia della liberazione, ha trovato un terreno di feconda elaborazione.

Tra coloro che hanno proposto parole molto chiare c’è Ignacio Ellacuria, il gesuita dell’Università centroamericana di San Salvador, ucciso insieme ad altri cinque confratelli dagli squadroni della morte nel 1989, che in una sola frase riassunse la questione che oggi Bergoglio pone alla base della Giornata mondiale dei poveri: «È incarnandosi tra i poveri, dedicando la propria vita a loro e morendo per loro, che la Chiesa può costituirsi come segno efficace di salvezza per tutti gli uomini». Soprattutto per i ricchi, a cui, «paradossalmente», come nota mons. Rino Fisichella, la Giornata deve indurre «la maggior inquietudine evangelica».

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