I Titoli tossici
un rischio europeo

Con Basilea 4, lo scorso settembre è stato approvato un complesso di nuove regole di patrimonializzazione delle banche, più stringente rispetto al precedente, con relativa applicazione rinviata al 1° gennaio 2022. Influenzate dalle conseguenze della recente crisi, le autorità di Vigilanza hanno tralasciato di intervenire sui rischi di mercato e si sono concentrate quasi esclusivamente sui rischi di credito, le cosiddette sofferenze. Le stesse sono state interessate anche da una recente disposizione della Bce che ha stabilito che a partire dal corrente anno le nuove sofferenze, se non garantite, debbano essere recuperate entro due anni; se garantite, entro sette.

Si teme che, se non interverranno modifiche al provvedimento, si potrà verificare un contenimento nell’erogazione del credito che potrebbe ostacolare la ripresa dell’economia. Una buona notizia è che il Comitato di Basilea abbia rinviato al 2022 l’entrata in vigore delle prescrizioni sui requisiti minimi di capitale per i titoli di Stato, circostanza questa assai gradita ai banchieri italiani e del sud Europa.

È apparsa inspiegabile, invece, la decisione di rinviare le misure di «salvaguardia» per i «titoli illiquidi» presenti soprattutto nei bilanci di alcune grandi banche del nord Europa. Tra i titoli in bilancio, vi sono: quelli di «livello1», considerati liquidi con prezzi riscontrabili sul mercato; quelli di «livello 2», che non hanno prezzi certi sul mercato ma che sono, in qualche modo, indirettamente ricavabili; quelli di «livello 3», che non hanno alcun punto di riferimento, neppure indiretto, sul mercato. Questi ultimi, riguardano titoli «derivati complessi», titoli «altamente strutturati» e altri che, soprattutto per il limitato importo, vengono giudicati illiquidi. Germania e Francia hanno ottenuto che non venisse presa alcuna decisione in merito, consentendo il permanere di un ampio spazio per scelte discrezionali sulla contabilizzazione di tali titoli.

Su questi aspetti si è soffermato un recente documento della Banca d’Italia, mettendo in evidenza come sia inspiegabile che fino ad ora gli organi di supervisione si siano concentrati quasi esclusivamente sui crediti deteriorati, trascurando d’intervenire sui rischi che possono derivare dalla presenza di titoli illiquidi nei bilanci di molte banche nordeuropee. Non è di poco conto che, secondo il documento, i tre quarti dei titoli illiquidi siano detenuti da banche tedesche e francesi. Questi titoli, compresi quelli presenti in altre banche del nord Europa, rappresentano 12 volte l’ammontare dei crediti in sofferenza calcolabili in circa mille miliardi, riconducibili prevalentemente a banche italiane e del sud Europa. Analisi approfondite hanno portato ad evidenziare che basterebbe un calo del 5% del valore dei titoli di livello 2 e 3 per determinare gravi perdite nei bilanci delle banche detentrici. Come conseguenza, infatti, il capitale di migliore qualità (Cet1) delle 18 banche europee più esposte si ridurrebbe di 350 punti base, scendendo dal 14% a meno dell’11%. Altro elemento da non trascurare, contenuto nel documento, è che «le banche possedenti tali titoli sono incentivate ad utilizzare a proprio vantaggio la discrezionalità concessa per la loro contabilizzazione, allo scopo di alterare i risultati di bilancio». Ne discende che «i profitti che emergono da certi titoli complessi dovrebbero più propriamente essere catalogati come premi per rischi nascosti». Ci sono tutte le condizioni, quindi, perché possa prodursi una nuova crisi finanziaria dalle conseguenze imprevedibili. Queste, potrebbero essere evitate con interventi urgenti e preventivi da parte delle Autorità di supervisione, che portino all’adozione di provvedimenti capaci di ripristinare condizioni di trasparenza nei bilanci delle banche europee.

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