Il burkini, noi donne
E affari con i sauditi

Il premier Manuel Valls non penserà davvero che una donna - musulmana, cristiana, femminista, occidentale, ammesso che sia possibile omologarla in una sola di queste categorie - possa credergli quando sostiene che il divieto di indossare il burkini è per lui una sorta di battaglia contro «l’asservimento della donna», «incompatibile con i valori della Francia».

In spiaggia quest’estate ognuna di noi, un ombrellone accanto all’altra, ha fatto i conti con i propri «totem», specchio della società e dei tempi che viviamo: la crema anticellulite che non ha dato i frutti sperati, la vicina di ombrellone che dimostra dieci anni in meno; alcune amiche musulmane al mare ci sono andate serenamente in bikini, altre non hanno potuto e avrebbero voluto andarci, e altre ancora, immagino, hanno ritenuto una conquista poterci andare coperte di un burkini piuttosto che da un velo integrale.

Ormai queste battaglie cultural-ideologiche sul nostro corpo le viviamo, a qualsiasi latitudine, tutti i giorni, da parecchi anni: in questi ultimi tempi c’è chi è alle prese con una cultura che ci vorrebbe sempre toniche e pin-up, eternamente giovani e seducenti, altre forse sono alle prese con la difesa della propria libertà, anche di indossare un velo e non essere per forza ritenute delle segregate.

Tutte però proprio perché da decenni, imparando dalle nostre nonne e dalle nostre mamme, ne abbiamo fatto grande esercizio, non difettiamo di buon senso. Per cui, visto che Valls sembra così convintamente interessato a combattere il burkini e tutto ciò che rappresenta, ci chiediamo come mai non ritiene così «incompatibile con i valori della Francia» stringere affari con gli amici sauditi.

In spiaggia, tra un gossip e l’altro, qualche cosa lo leggiamo anche noi di un po’ meno mondano e non è sfuggito che con i sostenitori del wahabismo, una delle forme più radicali e conservatrici dell’islam, sostenuta dai leader sauditi, la Francia ha firmato contratti nel 2015 per 11,5 miliardi di euro, e che Parigi ha venduto armi a Riad per 3,63 miliardi di euro solo nel 2014. In questo caso parrebbe che si possa passare oltre all’asservimento delle donne in Arabia Saudita che neppure possono mettersi alla guida o che non possono praticare sport nel loro Paese (e che alle Olimpiadi di Rio ci sono potute andare solo se accompagnate da un famigliare di sesso maschile).

I pettegolezzi tra donne dell’Eliseo hanno altresì rivelato che il presidente, François Hollande, al principe ereditario e ministro dell’Interno dell’Arabia Saudita, Mohammed bin Nayef, con una cerimonia «discreta», ha conferito a marzo persino la Legion d’Onore. Lì ai mass media d’Oltralpe sì che è stato messo un bel burqa, strappato, ironia della sorte, dai giornalisti sauditi che hanno dato ampi resoconti di questo alto riconoscimento al loro principe. Non diversamente in passato la Francia si è comportata con Gheddafi (quando era ancora utile all’Occidente) e con la repressione dei movimenti democratici alla caduta di Ben Alì in Tunisia. Tutti personaggi non propriamente paladini dei diritti femminili (religiosi e no).

A chi dunque è dotato/a di buon senso quella del burkini sembra tutt’altro che una battaglia per i valori della Francia o delle donne, ma appunto una querelle ferragostana, un’abile distrazione di massa sotto l’ombrellone dalle vere battaglie di cui tutti dovremmo a questo punto cercare di capire qualcosa di più. Un dubbio solo resta: se attribuire a Valls and co. solo un pizzico di ipocrisia, oppure, ancora peggio, di mediocrità.

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