Il federalismo fiscale
è finito fuori moda

Poco più di un mese fa, la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale ha pubblicato la sua Relazione semestrale. A giudizio di tale documento, l’espressione che meglio sintetizza l’esperienza italiana del federalismo fiscale è «transizione», ovverosia incapacità di realizzare compiutamente il progetto del decentramento finanziario a favore degli enti territoriali. E, prosegue la Relazione, alla transizione consegue «incertezza» e «indeterminatezza delle responsabilità». Il giudizio della Relazione è fin troppo generoso o, se si vuole, connotato in termini «politici». In Italia, il federalismo fiscale non ha mai trovato attuazione, nemmeno in uno stato embrionale, se non con riguardo alle Regioni speciali e alle Province autonome. Ciò è dovuto ad (almeno) tre ragioni, due di natura tecnica e una politica.

In primo luogo, il progetto legislativo di attuazione del federalismo fiscale era confuso e contraddittorio. Confuso, perché non scioglieva nodi centrali – per esempio, la definizione delle imposte attribuite alla potestà tributaria regionale (l’Irap era rimasto un tributo statale); contraddittorio, perché violava alcuni dei postulati fondamentali del federalismo fiscale – per esempio, la relazione diretta fra amministratori e amministrati, imponendo dall’alto ai Comuni l’esenzione delle prime case ai fini Ici/Imu. Questo secondo profilo è ampiamente messo in evidenza dalla Relazione, che ritiene l’esenzione non sia giustificata dal punto di vista del federalismo fiscale, né da ragioni economiche, bensì solo di consenso elettorale.

La seconda ragione riguarda la crisi economica e finanziaria che ha investito l’economia globale a partire dal 2008. Le fasi di recessione impongono – ripeto, impongono – un rafforzamento delle politiche finanziarie di stabilizzazione che, necessariamente, sono gestite dal centro. Detto in altre parole, la recessione richiede maggiori risorse finanziarie al centro perché si possa compensare la riduzione del reddito nazionale.

Diversamente, la ragione di ordine politico è che il federalismo fiscale è stato «venduto» male dai proponenti, nel senso che è stato presentato in termini di rivalsa e di rivincita del Nord nei confronti del resto del Paese. Sono restate inespresse, all’opposto, sia l’esigenza di razionalizzazione del sistema di finanziamento degli enti territoriali, in particolare la riduzione della discriminazione fra Regioni speciali e Regioni ordinarie, sia gli effetti benefici del federalismo fiscale, in termini di responsabilizzazione degli amministratori nei confronti degli amministrati.

Questa è la sintesi del passato; quali le prospettive per il futuro? Da più parti si parla di tramonto del federalismo fiscale. Per essere corretti, tuttavia, si dovrebbe dire che il federalismo fiscale, in Italia, non è mai nato! Tuttavia, tutti i segnali che provengono dalla politica sono ampiamente negativi.

La legge di stabilità per il 2016 ha riproposto la medesima misura dell’ultimo governo Berlusconi, ossia l’eliminazione dell’imposizione comunale sulla prima casa (che, come si è già detto, è esattamente la negazione del federalismo fiscale). In aggiunta, ha colmato la riduzione di tale gettito per i Comuni attraverso trasferimenti statali (altra negazione del federalismo fiscale) distribuiti in ragione di quanto precedentemente incassato dai Comuni stessi. Ciò significa che chi aveva le aliquote più elevate e il carico fiscale più alto (e, presumibilmente, le spese più elevate) avrà un maggior beneficio rispetto a quei Comuni che imponevano un ridotto carico fiscale ai loro residenti! In aggiunta, la legge di riforma della Costituzione produce l’effetto di cancellare, di fatto, le Regioni ordinarie, lasciando inalterati i «privilegi» delle Regioni speciali. Più precisamente, il nuovo art. 119 della Costituzione, se approvato dal referendum, produrrà l’effetto di accentrare ancor di più il potere tributario nelle mani dello Stato, declassando le Regioni a mero ente erogatore di servizi (statali). Aggiungo che il tanto citato Senato a composizione regionale non ha, ordinariamente, il potere di deliberare in merito alla legge di coordinamento in materia finanziaria e tributaria, ovvero la legge che distribuisce le risorse a Regioni ordinarie e Comuni.

In Italia il federalismo fiscale è passato di moda. Vi è bisogno del federalismo fiscale? La risposta è sicuramente positiva, nella misura in cui s’intenda il federalismo come amministrazione locale delle risorse generate dal territorio, responsabilizzazione degli amministratori pubblici e redistribuzione orizzontale dalle Regioni più ricche verso quelle più povere.

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