Il governo dei litigi
crea sfiducia

Solo un mese fa il verdetto delle elezioni europee, ancorché carico di attese, sembrava in larga parte prevedibile. Si davano per scontati sia un forte avanzamento della Lega sia un sostanzioso arretramento del Movimento 5 Stelle. Il rovesciamento degli equilibri interni non era destinato comunque a intaccare i margini di vantaggio della maggioranza giallo-verde, anzi. La recita del litigio continuo allestita dai due soci sembrava funzionare alla perfezione.

Continuava ad assicurare loro il ruolo di protagonisti assoluti della scena, riservando alle minoranze quello di semplici comparse. Sono passati quindici giorni e il canovaccio è cambiato non poco. Soprattutto, il finale potrebbe non esser più a lieto fine. Non regge più l’one man show, che affida il ruolo di protagonista a Salvini. Sono in due ormai a volergli strappare la scena: il presidente del consiglio Conte, decisosi a rivendicare per sé «la guida del governo», e lo stesso Di Maio, stanco di svolgere la parte del semplice comprimario.

È partita la grande controffensiva dei Cinquestelle, stanchi di reggere la coda alla Lega che stava letteralmente dilagando nelle praterie dello scontento nazionale. Non c’è più battaglia di Salvini (porti chiusi, flat tax, grandi opere, autonomia regionale, provincie elettive, castrazione obbligatoria dei pedofili, leva obbligatoria, da ultimo anche cannabis light) che non incontri il puntuale no grazie di Di Maio. Tempo una ventina di giorni e si sono visti i risultati. Le distanze tra i due soci litiganti si sono accorciate. Il M5S è avvalorato dagli ultimi sondaggi pubblici ormai a 6/8 punti dalla Lega. La primazia di Salvini traballa.

Il gran capo leghista comincia a non essere più sicuro di confermarsi il battitore unico della squadra di governo. Accusa inoltre un certo nervosismo nel trovarsi costretto a combattere in difesa. Nel tentativo un po’ affannoso di riprendere l’iniziativa, inventa ogni giorno una nuova emergenza e una nuova proposta, non accorgendosi di tradire con ciò la strumentalità dei suoi proclami, che paiono escogitati assai più per strappare la scena al concorrente grillino che non per fronteggiare l’allarme lanciato. Col risultato che i veti reciproci puntualmente opposti da ciascuno dei due partner bloccano l’azione del governo proiettando una pesante ombra di incertezza sul futuro della coalizione. Non esattamente quello che si aspettano investitori, consumatori, operatori finanziari, imprenditori, insomma i veri possibili promotori della crescita, che chiedono soprattutto e prima di tutto certezze.

Le conseguenze non si sono fatte attendere. Aumenta lo spread (che, è bene ricordare, fa lievitare il costo del nostro debito pubblico, e non solo di quello, vedi i mutui). Si defilano i possibili partner industriali delle nostre imprese a rischio. Alitalia, giunta alla scadenza dell’amministrazione controllata, non trova partner industriali che ne assicurino il salvataggio. La banca Carige, anch’essa a corto di capitali, ha visto in questi giorni l’unico investitore interessato a prendersela in carico, Black Rock (il più grande gestore di patrimoni del mondo) gettare la spugna, niente meno che per «rischio Italia». La prima emergenza da superare è proprio il clima di sfiducia che regna sia all’interno sia all’estero nei confronti del nostro sistema-paese. C’è da sperare che dalle urne esca, quanto meno, un verdetto che chiuda con la stagione dell’incertezza.

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