Il «nostro» mare
non è una tomba

C’è un risvolto nuovo nella tragedia che si è consumata due notti fa al largo delle coste libiche: mentre le due motovedette italiane Sar portavano in salvo i 105 naufraghi di un gommone in balia di onde alte otto metri, sotto grandine e pioggia battente, un numero non chiaro di altri gommoni affondavano, consegnando al mare probabilmente oltre 300 vite umane.

Il risvolto nuovo sta proprio in questa escalation folle, che rende ancor più incontrollabile e non monitorabile il fenomeno delle barche dei migranti. I numeri che si conoscono sono allarmanti: nel gennaio di quest’anno è stato superato il record del 2014: i migranti che hanno attraversato il Mediterraneo sono stati 3.528 contro i 2.171 del gennaio passato, mentre nello stesso mese del 2013 erano stati solo 217. Crescono i numeri non solo perché sempre più forte è la spinta in particolare di giovani che scappano da condizioni invivibili, ma perché sempre più spregiudicata è la tattica di chi organizza per loro la traversata del Mediterraneo.

Nei mesi scorsi arrivavano dalla Turchia grandi navi senza equipaggio, riempite soprattutto da profughi siriani, lanciate col timone bloccato contro le coste italiane. Ora dalla Libia altri criminali mettono in mare gommoni riempiti all’inverosimile, quando è previsto mare forza sette. È un’escalation di crudeltà inaudita, facilitata in parte anche dalla situazione di caos in cui è precipitata la Libia. Come ha spiegato l’ammiraglio ispettore capo Felicio Angrisano, comandante generale del Corpo delle capitanerie di porto Guardia costiera, ci si può aspettare di tutto: «Domani questi criminali potrebbero far partire gommoni anche con mare a forza 10. In questo momento, chi ci assicura che davanti alle coste libiche non stiano affondando uno, due o tre gommoni?».

Mentre la situazione si fa così drammatica, l’Europa si ritrova impotente. «Triton non è all’altezza dei compiti che deve svolgere», ha ammesso il commissario dei diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks. Triton è il nome dell’operazione europea che da novembre ha rimpiazzato l’operazione Mare Nostrum gestita solo dall’Italia. Nel passaggio da Mare Nostrum a Triton è stato cambiato radicalmente l’approccio all’emergenza. Se prima la priorità era la tutela delle vite umane, oggi l’obiettivo è la vigilanza su una certa porzione di territorio marittimo.

E certamente il tratto di mare davanti alle coste libiche dove si è consumato l’ultimo dramma non fa parte di quella porzione di mare su cui vigilare. È un’Europa imbelle quella che se ne sta tranquilla al di là della linea di mare tracciata ad aspettare l’arrivo dei pochi disperati superstiti scampati all’infido mare invernale. Ed è un’Italia troppo acquiescente quella che nell’estate scorsa ha accettato le linee della missione Triton. Oggi Renzi dice che il problema va affrontato sulle coste libiche. E può aver ragione. Ma deve spiegare perché è stato posto fine a Mare Nostrum senza avere garanzie che alla missione italiana subentrasse qualcosa di analogo.

Ci si illudeva che l’inverno avrebbe rallentato i flussi, invece questo non è successo. In tanti chiedono il ripristino di Mare Nostrum. Ora non si può tornare indietro, ma il sistema di soccorso va urgentemente ripensato. Perché per un Paese e un continente che si dicono civili, è impensabile accettare che il «nostro» mare si trasformi sempre più in una tomba.

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