Il Papa e i tormenti
del mondo arabo

Aveva appena finito di spiegare che il volto di Cristo si contempla oggi negli sguardi di quelli che soffrono per la guerra e il terrorismo quando gli hanno passato un foglietto con la notizia dell’attentato alla chiesa di Tanta in Egitto. Ancora non si sapeva della seconda bomba ad Alessandria, né degli ordigni ritrovati e disinnescati nella moschea. Ma il sangue sulla Domenica delle Palme nel delta del Nilo a tre settimane dalla missione al Cairo di Papa Francesco non modificherà il programma del viaggio, anzi rafforzerà le ragioni dell’incontro del Pontefice con Ahmed el-Tayeb, il grande Iman della più importante istituzione sunnita del mondo, la moschea e università di al-Azhar.

La loro agenda non è insomma nella disponibilità dei terroristi, né i testi sacri della Bibbia e del Corano sono armi noleggiabili dai fondamentalisti. Ieri il Papa dei Copti, Tawadros II e l’iman el-Tayeb hanno usato parole chiare, che rendono l’incontro di fine aprile più che mai attuale, necessario e urgente. Eppure anche le bombe sono un messaggio altrettanto chiaro e inquietante, comprese, e forse ancor di più, quelle disinnescate per tempo della moschea di Tanta. Bergoglio ha espresso la condanna e la solidarietà non solo ai cristiani, ma all’intero popolo egiziano, quella maggioranza musulmana anch’essa nel mirino criminale dei terroristi. Il motto della visita di Francesco è «Il Papa di pace nell’Egitto di pace». Qualcuno ha messo in dubbio, anche tra gli analisti cattolici, la convinzione di Bergoglio sulla pace con un Islam diviso, accusandolo quasi di irenismo buonista. Ma Bergoglio non ha accettato l’invito al Cairo solo per una stretta di mano. Va perché ritiene cruciale l’iniziativa di al-Azhar che sta elaborando, non senza fatica e polemiche dentro l’islam, l’idea della pari dignità dei diritti delle persone, quindi anche quelli religiosi, in base allo status di cittadinanza e non per via delle proprie appartenenze etiche o religiose, ancorché di minoranza.

Gli attentati di ieri assomigliano così più ad un avvertimento al leader di al-Azhar e al Papa copto che lo ha immensamente sostenuto, che al Papa di Roma e al Vaticano che li apprezza. Un cambiamento di rotta nella elaborazione del patrimonio musulmano, non solo arabo, avvelenato dalle ideologie del nation-building, cioè dell’unità della nazione configurata da un senso di appartenenza quasi esclusivamente religioso, è un rischio per chi tira i fili dell’Islam politico e soprattutto per gli estremisti che operano una lettura selettiva e superficiale delle fonti islamiche. La stessa cosa è accaduta in Europa con la teoria del «cuius regio eius religio»: discussioni, opposizioni e financo violenza. Oggi nell’islam sunnita l’università di al-Azhar sta squarciando il velo dell’ipocrisia religiosa che al massimo ritiene la tolleranza una cortesia sociale, ma non intende andare oltre ad una protezione interessata delle minoranze. La capriola intellettuale e religiosa che l’iman al Tayeb ha promesso di far fare all’islam e per la quale ha impegnato la sua altissima autorità esponendosi in prima persona non piace ai burattinai che intendono mantenere lo status quo di un Islam prigioniero delle sue narrative storiche.

È per questo motivo che l’incontro di fine aprile al Cairo e la missione di Bergoglio sono una tappa probabilmente decisiva in un percorso di aiuto ad un mondo musulmano e arabo parecchio tormentato. L’ambiente è ostile come dimostrano gli attentati di ieri. Gli ipocriti e gli impostori abitano l’islam esattamente come i farisei e i dottori della legge nella Chiesa cattolica. Per i cristiani è più facile rendersi conto dei guai. Nel contesto politico e giuridico dell’Islam e delle società arabe è più complicato invece comprendere e riparare i danni dei fondamentalisti. In Egitto poi tutto diventa ancor più complesso. Il presidente Al Sisi sta tentando faticosamente un riposizionamento della società civile islamica e ha dichiarato di voler insieme ad al-Azhar salvare l’Islam da false interpretazioni che offendono la religione, rassicurando i suoi concittadini cristiani. Ma le sue azioni repressive, tradizionali per l’establishment politico del Cairo, contro l’Islam politico, che ogni tanto s’infiamma con l’accensione periodica della composita galassia dei Fratelli musulmani, rischiano di offrire solo altri argomenti alle disordinate dinamiche mediorientali e del Golfo, dove non sono molti ormai gli amici del Cairo.

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