Industria, Bergamo
non è un’isola

L’assemblea degli industriali bergamaschi costituisce da sempre un appuntamento-chiave dell’anno economico, ma non è mai un appuntamento solo rituale. Centinaia di imprenditori bergamaschi non lascerebbero per mezza giornata le loro aziende se non ritenessero l’occasione utile per confrontarsi, conoscere, ascoltare, oltre che per testimoniare l’importanza convinta del fatto associativo.

Non è più così in tante parti d’Italia, dentro una Confindustria che, negli anni, ha cambiato pelle ed è sempre più una confederazione di specializzazioni diverse talvolta persino con obiettivi conflittuali – e comunque di imprese, non di industrie in senso classico. Una Confindustria che ha perso pezzi importanti, dopo la spiazzante uscita della Fiat, seguita gradualmente da molte aziende leader, e da ultimo da settori interi, come la nautica o la pubblicità, compensati in modo non da tutti gradito dalla crescita di peso delle aziende ex pubbliche, determinanti nell’elezione degli ultimi due presidenti. Una Confindustria, infine, che proprio in queste ore è sull’orlo di una grave crisi interna, per il «buco» di 50 milioni nel bilancio semestrale de «Il Sole 24Ore». Potrebbe essere il detonatore di un cambiamento radicale di esito imprevedibile.

Bergamo, un tempo saldamente insediata a Roma, è oggi più defilata, a seguito di qualche scelta tattica nell’opposizione sia all’elezione di Squinzi che di Boccia, ma è oggi quanto meno fuori dal perimetro di quest’ultimo scontro. Dopo Carlo Pesenti, in ruoli di vertice c’è comunque Matteo Zanetti.

Resta il fatto che stamane al Donizetti si riunisce davvero l’industria, magari in passato guardata con sufficienza perché «troppo» manifatturiera, quasi un dio minore nell’economia globale, tendenzialmente sempre più digitale, ma ora riscoperta come radice solida e comunque fortemente innovativa.

È una Bergamo che può anzi guardare dall’alto in basso l’intera Europa, visto che il nostro è il secondo distretto manifatturiero dell’Unione, ben saldamente davanti a regioni europee vetrina del mondo avanzato.

È la Bergamo che esporta per quasi 15 miliardi all’anno, la Bergamo che si avvicina – speriamo la segua l’intero Paese – al recupero delle quote produttive pre 2007, cioè prima della catastrofe che si è mangiata 10 punti di Pil e il 20 per cento abbondante della produzione industriale.

La Bergamo, insomma, che autorizza il presidente Ercole Galizzi, alla guida dell’ultimo quadriennio, a parlare in termini ottimistici che fanno un certo effetto nei giorni del ricalcolo governativo che dimezza l’1,6 per cento della crescita prevista (e che realisticamente potrebbe fermarsi ancor più in basso), preparando un 2017 in cui lo stesso +1 per cento del nuovo Def potrebbe essere l’ennesimo wishfull thinking ministeriale.

I nostri sindacati fanno notare che il recupero non è stato altrettanto positivo sul piano dell’occupazione, perché, dei 15 mila posti persi, se ne sono recuperati solo 7.500, ma il quadriennio di Galizzi si chiude in positivo.

Non è stato facile, per questo imprenditore seriano che non ama la visibilità, attraversare anni complicati, che hanno cambiato fortemente il panorama. Basti pensare al cambio di mano ad Italcementi, l’azienda simbolo di Bergamo, o le vicende bancarie, con l’uscita dall’orizzonte di insegne radicate: dopo il Credito Bergamasco, l’imminente ammainabandiera della Banca Popolare, dentro il quadro più ampio di una Ubi che è lì ancora in piazza Matteotti, ma parla nuove lingue e nuovi dialetti, neppur più il solo bresciano. La Bergamo di un aeroporto straordinario, ma conteso tra Est ed Ovest. Di una Camera di Commercio fiaccata dalla riforma e con l’industria non più politicamente egemone.

Galizzi lascerà il timone tra breve, ma i suoi ultimi atti sono di fiducia nel futuro rappresentativo della realtà industriale bergamasca: la scelta di un nuovo direttore manager, incaricato evidentemente di guidare una macchina operativa e non solo un sindacato, e soprattutto l’avvio del trasferimento della sede dalla città alla Provincia, dall’austerità di via Camozzi alla striscia cangiante del Km rosso.

Sperando naturalmente che la nostra ripresina si consolidi, perché Bergamo non è un’isola e tutto attorno le ombre minacciano le luci.

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