La buona politica
La casta è altrove

Ai più il nome non dice niente. Ma nella Bassa Gianfranco Costelli era noto per il suo impegno politico di qualità e per doti umane apprezzate anche oltre il recinto della sinistra bergamasca, alla quale apparteneva e che ha contribuito a costruire. Costelli domenica scorsa ha lasciato la vita terrena improvvisamente, a 59 anni, 40 dei quali dedicati proprio all’impegno politico, dal Pci al Pd, e amministrativo nella sua Romano. Le cronache ci hanno restituito la biografia di una persona cresciuta a pane e politica, nel segno di una vera gratuità che non ha mai preteso niente in cambio.

Nei ricordi, anche di chi milita politicamente su fronti opposti, come i colleghi consiglieri comunali della Lega e di Forza Italia a Romano, sono tornati alcuni giudizi: credeva nelle cose che faceva, un uomo del confronto costruttivo, amministratore rigoroso e attento, aveva il senso di appartenenza e di servizio. La restituzione di questi e di altri tratti - la capacità di costruire relazioni sul territorio per andare a fondo dei problemi e trovare possibili risposte, di farsi indietro quando è il momento per dare spazio ai giovani allevati anche grazie alla propria testimonianza - disegna il profilo della buona politica.

La storia di Costelli, ce lo permettano i suoi cari e i suoi amici del Pd, qui vuole essere presa a rappresentare una figura presente pure in altri partiti: il mediano, colui che lavora sodo e nell’ombra, perno inconsapevole di una squadra. Non è scontato oggi ricordare queste presenze. La politica è diventata il capro espiatorio di tutti i problemi, locali o nazionali. Non si vogliono negare responsabilità, ma restituirle alle giuste proporzioni. Il furore giacobino del «dagli alla casta» ha reso parole come partito o politica sinonimi di malefatta. Con i risultati che vediamo: avanzano populismi e qualunquismo, oltre a un senso di smarrimento. Un passaggio grave, tanto più dentro un quadro internazionale destabilizzato. Non è in dubbio il fatto che per la politica sia finito il tempo di certi privilegi e di rendite di posizione.

Ma come cantava Giorgio Gaber, «la libertà non è stare sopra un albero: la libertà è partecipazione». È cioè essere parte, parola che ha la stessa radice di partito. È stare dentro la realtà, anche quella sociale, per conoscerla e poterla sostenere. Non in parte, ma dentro. L’Italia è fatta da caste e corporazioni, ognuna chiusa nella difesa dei propri privilegi: anche per questo siamo un Paese difficilmente riformabile. La colpa è sempre di qualcun’altro. La categoria dei politici, dai consiglieri comunali ai parlamentari, è ricca di biografie ammirevoli per dedizione e onestà. L’onestà non solo di chi non ruba, ma nei confronti di se stessi, avendo la consapevolezza dei propri limiti e delle difficoltà, senza fare promesse al vento.

Il furore giacobino dell’anti casta ha prodotto anche pesanti danni collaterali. Mettendo i politici, soprattutto a livello locale, nelle condizioni di operare con difficoltà. Si prenda ad esempio il caso delle consulenze esterne. È stato giusto tagliare le eccedenze, ma non altrettanto intralciare la possibilità degli enti di avvalersi di professionisti esterni tecnicamente preparati per dare giusta soluzione ai problemi.

Oggi nelle pagine di cronaca diamo conto di come la Provincia è riuscita a definire gli equilibri di bilancio. Per centrare l’obiettivo, il presidente e i suoi collaboratori (che nella vita privata fanno altro e prestano tempo all’istituzione senza compensi) hanno lavorato anche di notte. Ci sono sindaci e assessori dei Comuni che hanno sacrificato la propria remunerativa attività privata per servire le rispettive comunità. Non è scontato in questo clima sociale trovare persone ancora disponibili all’impegno politico e amministrativo. Almeno di questo dobbiamo esserne consapevoli.

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