La Consulta violata
dalla logica del baratto

Uno dei principali pregi riconosciuti a Renzi è la sua capacità decisionale, espressione di una leadership esercitata con inedita determinazione. Il Parlamento italiano, solitamente balcanizzato e ingovernabile, secondo una diffusa rappresentazione, è apparso spesso docile davanti all’energia del giovane premier, capace perfino di convincere il tacchino a cucinare la cena di Natale (fuor di metafora: i senatori ad approvare la riforma del Senato).

Eppure, questo Parlamento fatica più di ogni altro a eleggere una parte consistente dei giudici della Corte costituzionale, organo cui la Costituzione affida delicatissime funzioni di garanzia. Sono ben 3, sui 5 di investitura parlamentare (sui 15 totali che compongono l’organo), i giudici che il Parlamento in seduta comune dovrebbe eleggere con una maggioranza qualificata che, dal quarto scrutinio in poi, diventa dei 3/5 del collegio. Non sono dunque pochi, considerando che per la validità delle sedute della Corte devono essere presenti almeno 11 giudici. La perdurante mancanza di 3 giudici pesa dunque in modo notevole, sia sul carico di lavoro in sé dell’organo, sia sui suoi equilibri complessivi. Siamo giunti rispettivamente alla 29a, 8a e 6a votazione per eleggere i tre giudici, posto che Mazzella, l’attuale Presidente della Repubblica Mattarella e Napolitano (solo omonimo di Giorgio) sono cessati dal loro mandato nella Corte, nell’ordine, nel giugno 2014, a fine gennaio e a inizio luglio 2015. Le difficoltà di questa elezione sono oggettive. Il Parlamento vota in seduta comune, a scrutinio segreto, sicché possono affiorare resistenze, anche non dichiarate, alle soluzioni proposte dai vertici di partito o anche semplici ostruzionismi. Inoltre, si devono raggiungere maggioranze qualificate che, nonostante le distorsioni alla rappresentanza inflitte dal Porcellum, esigono un accordo largo tra forze politiche di maggioranza e non. Per rendere possibile il compito del Parlamento sono negli anni invalse delle convenzioni tra i partiti che assegnano poteri di indicazione dei giudici costituzionali alle forze politiche di maggioranza o minoranza, secondo equilibri determinati, con l’impegno degli uni di sostenere le candidature degli altri.

E, stando a questa convenzione, dei 3 giudici da eleggere, uno dovrebbe essere in quota alla maggioranza e due alle minoranze. Ecco perché la prima terna su cui si è ragionato prevedeva come candidati Barbera (indicato dal Pd), Sisto (dal Pdl) e Modugno (dal M5S). Si ricorda che i giudici della Corte costituzionale devono essere scelti entro determinate categorie (magistrati delle giurisdizioni superiori, professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati dopo 20 anni di esercizio della professione).

I candidati rispettavano i requisiti formali. E tuttavia il M5S non ha accettato l’accordo, facendo mancare i suoi voti e le esigenti maggioranze. Rispetto a questa posizione, trovo non fondata l’obiezione mossa ad Augusto Barbera che, per quanto abbia un passato importante di militanza politica nella sinistra, non ha mai rivestito ruoli di vertice del partito e comunque è un costituzionalista di indubbio prestigio. Sensata è invece l’opposizione a Sisto, avvocato, la cui storia partitica, interna al Pdl, è altrettanto marcata, ma non compensata (a differenza di Barbera) da un’aspettativa di indipendenza che derivi dalla autorevolezza scientifica. Del resto, la designazione di Sisto risponde fedelmente allo stile di Berlusconi che mira a inserire anche negli organi di garanzia figure, per così dire, di sua fiducia. L’obiezione del M5S era dunque fondata a metà. Ciò nondimeno, il Pd avrebbe potuto spingere perché il Pdl modificasse la sua designazione, accettando di votare nel frattempo, in attesa di una più congrua indicazione da parte del centro-destra, Barbera e Franco Modugno, indicato dal M5S. Modugno risponde infatti pienamente ai requisiti di giudice della Corte, sia per la sua autorevolezza scientifica (è un importante costituzionalista), sia per la sua indipendenza. Appare quindi discutibile la scelta di campo del Pd, a guida renziana, di perseverare con la ricerca preferenziale e ostinata di accordi con il Pdl di Berlusconi, nonostante l’ormai provata «scarsa» sensibilità di quest’ultimo per i ruoli di garanzia istituzionale. A costo di paralizzare il rinnovo, ancorché parziale, della Corte e di prolungare la sofferenza del custode della Costituzione.

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