La destra moderata
e la difficile normalità

Nonostante le difficoltà palesate dalla Raggi nella gestione del Comune di Roma dopo il grande successo elettorale, i più recenti sondaggi segnalano saldamente al secondo posto il Movimento 5 stelle. Il Pd, lontano dai tempi migliori, conserva con qualche difficoltà il primato. In prospettiva, però, ha il vantaggio di aver assunto una fisionomia ben definita, in virtù della linea politica imposta da Renzi, che ha portato il partito nella social-democrazia europea, facendo prevalere largamente la componente liberal-riformista rispetto a quella movimentista. Per altro Forza Italia, specie da quando la leadership berlusconiana è entrata in crisi, continua a perdere consensi ed è lacerata da divisioni interne che hanno portato all’abbandono del partito da parte di autorevoli protagonisti della sua storia.

Il problema di fondo per Forza Italia è di non essere riuscita ad affermarsi come un partito di destra tradizionale, vale a dire liberale e conservatore, moderato e pragmatico, nonostante il suo leader si fosse presentato agli elettori sbandierando questa prospettiva. Berlusconi ha in più occasioni attribuito l’insuccesso del suo programma ai problemi di una coalizione che si è divisa sulle decisioni più importanti e che si è spesso contraddistinta per estremismi e atteggiamenti sopra le righe. Prendendo atto di ciò, consapevole dei suoi seri problemi di salute, ha pensato di cambiare registro e di affidarsi ad un non politico di stampo moderato, come l’ex manager Stefano Parisi, per rifondare il partito. Il prescelto, in possesso di un curriculum del tutto rassicurante sul piano morale e professionale e di una consistente popolarità seguita allo scontro elettorale milanese con Giuseppe Sala, si è presentato con l’intento di cercare il più possibile l’unità, usando argomentazioni e toni concilianti.

C’è chi sostiene che Berlusconi nella sua scelta si sia ispirato a François Mitterrand, un socialista non moderato, che vinse le elezioni presidenziali del 1981 contro il liberale Valery Giscard d’Estaing utilizzando uno slogan che si mostrò efficace e decisivo: «Una forza tranquilla».

A suggerirgliela fu un grande pubblicitario, Jacques Seguela, certamente noto a Berlusconi, che ha avuto una lunga e profittevole attività in questo campo. Non sembra, però, che la scelta del Cavaliere potrà avere vita facile, viste le vibranti reazioni che ne sono seguite e le aspre critiche rivolte alle prime iniziative di Parisi. Era certamente prevedibile la contrarietà di Salvini, ormai approdato a scelte populiste e di destra estrema, nonché speranzoso di assumere una propria autorevole leadership nella coalizione.

Paradossale è, però, che questa esigenza di riprendere il tradizionale indirizzo moderato di una «normale destra democratica» sia stata vista dalla vecchia nomenklatura, sia tra i lealisti che tra i fuoriusciti, come un vero e proprio pericolo. I più malevoli hanno messo in guardia Parisi dai disegni di Berlusconi, che più volte in passato ha messo in lista dei probabili successori, per poi bruciarli. I più benevoli hanno invitato Parisi a misurarsi con i voti, come se nella pattuglia di Berlusconi ci fosse qualcuno realmente in possesso di una apprezzabile quantità di consensi. In realtà, l’età avanzata e i problemi di salute di Berlusconi hanno fatto intendere questa sua scelta di normalità come «normalizzazione», che nel lessico sfumato della Prima Repubblica aveva il significato di «rottamazione».

Tutto ciò ha indotto Berlusconi ad attenuare, in qualche misura, il suo sostegno a Parisi, con la conseguenza che si sta allontanando la possibilità che una sinistra finalmente normale, possa competere con una destra anch’essa normale. Non a caso si ricomincia a parlare di revisione dell’Italicum, una legge elettorale che era ispirata a questa nuova possibile evoluzione del quadro politico. Lo stesso Matteo Renzi, spinto dalla sinistra interna e preoccupato per l’esito del referendum costituzionale, ha aperto ad una possibile revisione della legge. Il centrodestra ha avanzato la proposta di assegnare il premio di maggioranza alla coalizione, anziché alla lista, dimenticando le conseguenze negative che sul piano della governabilità questa scelta ha riservato in passato. Il M5S, con grande sorpresa, ha aperto al «proporzionale senza premio di maggioranza», evidentemente non sentendosi ancora pronto a governare.

Questo clima è l’anticamera di una possibile condizione d’instabilità politica, con inevitabili conseguenze d’immobilismo e di regresso socioeconomico per il nostro Paese.

© RIPRODUZIONE RISERVATA