La Germania costretta
ad essere europea

La Germania ha scoperto che i suoi interessi strategici non corrispondono più a quelli dell’alleato americano. I tedeschi vendono in America per 114 miliardi di dollari ma acquistano prodotti made in Usa per soli 49 miliardi. Una situazione avvilente che Trump enfatizza. «America first» vuol dire anche far fuori la concorrenza tedesca. Angela Merkel deve averlo capito quando il presidente americano alla cena della Nato a Bruxelles ha definito i tedeschi cattivi. Non vi è peggio per i tedeschi che evocare le categorie morali. Si associano ai concetti di bene e di male e al quel punto il passato che non passa è di nuovo lì con tutti suoi orrori.

Ci sono stati genocidi come quello di Pol Pot in Cambogia, di Srebenica con lo sterminio dei bosniaci di fede musulmana e gli eccidi della guerra civile siriana di questi giorni ma nell’immaginario popolare resta un solo archetipo ed è quello tedesco. Angela Merkel conosce il tallone d’Achille del suo Paese ed anche a rischio di impopolarità ha aperto le porte ai migranti dando l’immagine di un Paese che si è lasciato alla spalle il marchio d’infamia del razzismo. Lo ha fatto per calcolo economico, vista la carenza cronica di manodopera, ma il colpo mediatico le è riuscito in pieno. «Time» le ha dedicato la copertina come emblema di una nuova Germania aperta al mondo.

Le accuse di Trump hanno quindi fatto male perché nessuno le associa al surplus commerciale. E se comincia a girare la voce che i tedeschi sono cattivi, anche l’incredulo comincia a rivedere la sua opinione non foss’altro perché lo dicono gli americani. A quel punto la reputazione è a rischio e anche gli affari potrebbero andar male. Insomma un brutto affare che ha reso evidente la debolezza tedesca sul piano internazionale. Per la Germania non c’è dunque alternativa all’Europa. Ed è apparso talmente evidente anche alla pubblica opinione tedesca da indurre Angela Merkel a proclamarlo in piena campagna elettorale. E questo in un Paese che considera ancor oggi greci, italiani e sud europei moralmente inaffidabili. La potremmo chiamare la forza della storia , visto il successo in Francia di un presidente filoeuropeo, quando tutti temevano il trionfo dei nazional-populisti di Marine Le Pen.

Siamo al punto che il Paese del miracolo economco si è scoperto debole proprio a cagione della sua forza. Come tutte le cose tedesche anche il suo successo industriale pecca di eccesso e le si ritorce. Quindi la Germania diventa europea perchè costretta. Non rinuncerà di certo alla sua idea di far dell’Europa una proiezione dei suoi interessi nazionali ma dovrà venire a patti. Non si può sempre prendere, nella convinzione di averne diritto perché più bravi, bisogna anche saper dare. I tedeschi lo impareranno. Per gli italiani è una buona notizia. Sono legati al carro tedesco. Basti guardare i flussi commerciali verso la Germania per scoprire che la componentistica italiana dell’automotive esporta verso i grandi marchi Bmw, Audi, Volkswagen ecc. per circa 10 miliardi. Se le esportazioni tedesche verso gli Usa calano, a Milano e dintorni si va in cassa integrazione. L’Europa dei mercati integrati c’è già ed è germanocentrica.

I tedeschi si illudevano di realizzare il grande spazio di schmittiana memoria in formato economico senza pagare dazio. Adesso dovranno concedere a francesi e italiani più spazio nella politica della crescita, negli investimenti europei,nella difesa e nella ricerca. Tutti hanno interesse a formare un’Europa unita e nessuno avrà da recriminare se la Germania ne sarà leader a patto che tuteli gli interessi anche degli altri. Trump è un egocentrico ma ha il merito di aver dissolto un equivoco. L’Europa è di tutti non della Germania.

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