La lunga marcia
del referendum

All’ultimo secondo utile, quando stavano per scadere i termini di legge, finalmente il governo ha deciso la data del referendum sulle riforme costituzionali. Andremo alle urne il 4 dicembre: chi dirà sì, chi dirà no, chi si asterrà senza per questo inficiare la validità della consultazione, dal momento che, in questo caso, il quorum non c’è. Perché Renzi ha deciso il più tardi possibile la data più lontana possibile? C’è sicuramente un calcolo da parte del governo, ma quale sia davvero non è chiaro.

Per esempio: se voi ascoltate le opposizioni, che in queste ore protestano ad altissima voce per non essere state consultate, Renzi avrebbe deciso per una data paranatalizia perché, secondo loro, meno gente andrà a votare e meno probabilità avrà il no di prevalere, così da far approvare la riforma da una minoranza di italiani inclini al sì. E per questa ragione i Salvini, i Grillo, i Brunetta gridano al sabotaggio, allo scandalo, alla vergogna.

Se voi invece prestate orecchio ad altre campane, quelle vi diranno che il 4 dicembre è stato deciso per portare al voto più gente possibile nell’idea che mentre i sostenitori del no si sono già appalesati (per esempio al referendum no triv) quelli del sì dormicchiano, si impigriscono, si perplimono, e c’è il rischio che restino a casa invece di indossare il paletot e andare al seggio. Quale sarà la verità? Renzi si giova di una percentuale alta o bassa?

Questo tipo di illazioni pre-voto, in realtà, lascia il tempo che trova. Esprimono più un’ansia e una voglia di polemica, da parte dei politici, che qualche motivo razionalmente fondato. Perché? Perché basta guardare a cosa dicono oggi i sondaggi. Dicono che il 36 per cento voterebbe sì, il 34 no, e il restante 30 per cento non lo sa e non sa nemmeno se andrà a votare. Quale sarà la decisioni finale di questo 30 per cento oggi nessuno è in grado di prevederlo, e quindi se Renzi ha scelto il 4 dicembre per un suo calcolo, questo può rappresentare una scommessa al pari di un’altra. Di sicuro tutti hanno bisogno di tempo per conquistare la maggior parte possibile di quegli indecisi. E questo vale sia per Renzi che per i suoi tanti avversari.

Dunque settanta giorni (un’eternità) di campagna elettorale sulla riforma potranno essere usati da entrambi i fronti per strappare l’ultimo voto agli avversari. Certamente ne approfitterà Renzi che ha già pianificato un tour di comizi in giro per l’Italia che avrà un momento centrale a Firenze. Renzi è un ammiratore di Amintore Fanfani ed è noto che l’«Aretino» in campagna elettorale facesse fino a tre o quattro comizi al giorno, spostandosi da un paese all’altro a velocità folle, ora facendo fondere il motore della berlina di servizio, ora andandosi a sfracellare contro un guard-rail. Di sicuro Renzi farà la stessa cosa. Ci sono però due elementi oggettivi che possono aver indotto Renzi a scegliere quella data. Il primo è che Mattarella è stato perentorio nel chiedere che il voto ci sia dopo l’approvazione della legge di Stabilità. Siccome il referendum può essere un fattore destabilizzante dell’equilibrio politico, tutti – dal Quirinale alla Commissione europea, ai partner, ai mercati – vogliono che la legge dei numeri venga messa al sicuro prima del voto. Se poi Renzi riesce, facendo a testate con Bruxelles, a strappare un po’ di flessibilità, magari potrà esibire qualche misura economica utile ad aumentare le simpatia verso il governo e, di conseguenza, le sue riforme. Come la disastrosa gestione del comune di Roma sta danneggiando i grillini, per converso qualche buona notizia sulle tasse può aiutare l’affermazione del sì («Vedete? Basta lavorare e i risultati arrivano, e con un sistema riformato arriveranno anche di più»).

Secondo elemento oggettivo. Il 4 dicembre è il giorno in cui andranno a votare anche gli austriaci che dovranno ripetere la gara tra il candidato verde-riformista e quello paranazista. Un voto che può avere un fortissimo riflesso sulla vita dell’Unione europea. Il senso di allarme che indubbiamente produce la corsa viennese è un elemento che può riverberarsi positivamente sul referendum italiano: «Cerchiamo almeno noi di essere stabili, affidiamoci a forze politiche non avventuriste, moderate e di buon senso»: questo lo slogan implicito dei renziani, e l’idea di puntellare un governo può smuovere qualche indeciso e portare consensi alla riforma.

E tutto questo è il ragionamento sulla data. Quanto al dopo, il lettore capirà che non si può andare oltre una certezza: quella per cui se vince il sì, Renzi si accomoda sulla sedia, resta fino al 2018 per rivincere le elezioni e sbaragliare gli avversari interni ed esterni. Ma se vince il no? Qui c’è la nebbia fitta. Il premier si è rimangiato quella pericolosa promessa che aveva fatto («Se perdo me ne vado») ma è chiaro che se perde la partita della vita entra in una fase di tale debolezza da scapicollarsi in breve tempo.

E poi? E poi, chissà. Intanto aspettiamo il referendum, e poi si vedrà.

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