L’ennesima «sanitopli»
Servono gli antidoti

In Lombardia scoppia l’ennesima «sanitopoli». Due primari dell’ospedale Pini di Milano, due del Galeazzi e un direttore sanitario sono finiti agli arresti domiciliari, mentre un imprenditore di prodotti ortopedici è finito in cella nell’ambito di un filone di indagine sulla sanità milanese coordinato dai procuratori aggiunti Eugenio Fusco e Letizia Mannella. Il reato ipotizzato è quello di corruzione. Sarebbero girate corpose tangenti in cambio di forniture ortopediche secondo un meccanismo corruttivo classico: la ditta fornitrice paga tangenti alla direzione sanitaria e ai primari che devono operare i pazienti e in cambio ottiene l’appalto per i suoi prodotti. L’imprenditore agli arresti grazie alle tangenti avrebbe incassato tre milioni e mezzo di euro.

L’inchiesta nasce da quella che portò all’arresto del primario del Cto Norberto Confalonieri, poi rinviato a giudizio per corruzione con l’accusa di aver preso mazzette per usare le protesi d’anca e di ginocchio di due altre aziende fornitrici. La vicenda assume un tono grottesco se si pensa che in uno di questi ospedali, il «Gaetano Pini», era stato annunciato nientedimeno che un Piano anticorruzione, come aveva comunicato addirittura in tv il 27 marzo 2017 Paola Navone, direttore sanitario del Pini, dopo l’arresto del primario Confalonieri. La Navone è finita agli arresti domiciliari insieme con gli altri quattro primari. Risulta essere fra i firmatari del Piano triennale per la prevenzione della corruzione e delle illegalità per gli anni 2016-2018 del Pini/Cto. Consulenze, quote societarie, partecipazione a convegni a Parigi (le cui spese si aggirerebbero sui 5 mila euro) e in Alto Adige, assunzioni di parenti e anche un cestino di prodotti enogastronomici a Natale da mille euro pagati da un imprenditore del settore medicale che al telefono diceva: «Il Pini è l’ospedale più facile del mondo! (...) perché non ci sono gare, se sei amico di un chirurgo usi i prodotti che vuole, cioè è tutto libero, tutto libero!». Dunque la prima cosa da fare al Pini, prima ancora che il Piano anticorruzione, avrebbe dovuto essere l’indizione di gare d’appalto. Cosa che evidentemente non è stata fatta e ha dato il via libera ai fenomeni corruttivi su cui indaga la magistratura milanese.

Non è certo la prima volta che fatti del genere emergono in Lombardia. Due anni e mezzo fa c’era stato l’arresto del vicepresidente della Regione Lombardia Mario Mantovani e quattro mesi dopo era finito in manette Fabio Rizzi, padre della riforma della sanità lombarda, insieme con altre 21 persone per una storia di appalti affidati sempre alle stesse società, con liste di attesa finte e ticket gonfiati per le cure odontoiatriche.La prima considerazione da fare è che deve essere fatta salva la presunzione di innocenza per tutti gli imputati, anche quelli delle precedenti inchieste, su cui non si è ancora scritta la parola definitiva. Troppo spesso si è gettato la croce su degli innocenti prima del verdetto definitivo. Va inoltre detto che stiamo parlando di due dei centri medici privati più prestigiosi d’Italia e forse d’Europa per competenza, ricerca e personale sanitario. Gli arresti non possono compromettere l’immagine di due sistemi all’avanguardia. L’ultima considerazione è che il cancro della corruzione, se verrà comprovata, continua imperterrito a colpire la sanità lombarda senza che in 25 anni, ovvero dai tempi di Tangentopoli, ormai oggetto di studio per gli storici, si sia potuto trovare un antidoto. Non dobbiamo dimenticare che lo scandalo su cui indagò Antonio Di Pietro era una casa di riposo per anziani e si riferiva a delle mazzette in cambio di forniture. Nulla di nuovo sotto il sole dunque.

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