La retorica della Luna
e le parole del Papa

Poche parole e retorica zero. Dopo l’abbuffata del Moon day e l’overdose di tivù celebrativa, ieri mattina all’Angelus ci ha pensato Jorge Mario Bergoglio a riportare tutti con i piedi sulla terra spiegando che «quel grande passo per l’umanità» e le scintillanti promesse di buoni propositi sono naufragate. Insomma c’è Luna e Luna e oggi la memoria di quell’impresa deve, ha detto, «accendere il desiderio di progredire insieme verso traguardi ancora maggiori». Qual è la prossima Luna? In due righe consegnate al mondo nel caldo di piazza San Pietro, il Papa ha disegnato il perimetro dell’impresa che fin qui non si è fatta: «Più dignità ai più deboli, più giustizia per i popoli, più futuro per la nostra casa comune».

Cos’è la Luna se non la nostra terra? Quando John F. Kennedy a Houston il 12 settembre 1962 a chi gli chiedeva perché la Luna lui rispose così: «Siamo salpati in questo nuovo mare perché ci sono nuovi saperi da acquisire e nuovi diritti da conquistare e devono essere conquistati e usati per il progresso di tutti». Oggi cinquanta e più anni dopo quel discorso e con le impronte dell’uomo fissate sulla Luna, Papa Francesco sommessamente spiega che c’è stato qualche intoppo e non tutto è bellissimo.

Le mani avanti le aveva già messe allora Paolo VI, pregando e auspicando. Ma già allora si vide che la Luna era un affare per ricchi e che altre Lune restavano vaghi traguardi per l’umanità. Non tutti 50 anni fa parteciparono alla festa dell’allunaggio. L’intero continente africano venne escluso dalle dirette. Troppo pochi erano i televisori in Africa perché le agenzie pubblicitarie e le aziende pubbliche e private proprietarie dei satelliti orientassero il segnale su quelle parti del mondo. Gli africani non erano degni di vedere il «balzo gigantesco per l’umanità», nemmeno se si raccoglievano attorno a un televisore di comunità. La dignità dei più deboli da cinquant’anni il mondo calpesta. Pochi giorni dopo la missione dell’Apollo 11 Montini partì per l’Uganda, primo viaggio di un Papa in Africa, segnale e monito insieme al resto del mondo, per esortare lo sviluppo di un «carattere africano» della Chiesa e non solo. Parlò di autosufficienza dell’Africa e addirittura di «capacità espansiva».

Cinquant’anni dopo un altro Papa spiega che non ci siamo mossi da lì con guerre, fame, povertà, malattie. Ebola è tornata a schiantare vite in Africa nel silenzio assoluto. E dire che il vaccino ora c’è, ma perché vaccinare africani? Nella lotta alla fame quest’anno le risorse sono calate del 2,7 per cento. Lo 0,7 del Pil in cooperazione allo sviluppo resta un miraggio e fa rima con inganno. Il 10 per cento più ricco della popolazione mondiale si prende buona parte del valore creato dal lavoro di altri, perché non li paga il giusto e perché le politiche fiscali di solito aiutano i ricchi.

I ricchi fanno e disfano lobby, impongono scelte alla politica, sono abili e scaltri. I poveri pagano e muoiono. Dappertutto. In Russia venti milioni di poveri sono il risultato dell’incuria politica del nuovo Zar Vladimir Putin. Nell’America di Trump gli americani muoiono per mancanza di insulina, perché i malati con tabelle fai-da-te se la riducono non potendola più pagare così cara. L’Africa con un miliardo di persone di cui il 60 per cento con meno di 25 anni dovrebbe essere la «nuova frontiera» del mondo da accarezzare e maneggiare con cura perché contiene futuro. Invece no.

Di riequilibrio di poteri, interessi e diritti meglio non parlare. Il principio di non lasciare indietro nessuno è sparito da ogni agenda. Ecco perché c’è luna e luna e un Papa ostinato che indica un’altra rotta.

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