La ripresa fatica
e l’Italia è congelata

La crisi di governo «annunciata» in cui siamo precipitati non aiuta certo un’ Italia già abbastanza «involuta e ripiegata su sé stessa», come l’ ha fotografata l’ ultimo rapporto Censis sulla situazione del Paese. Un Paese fermo e governato da una classe politica che, come dice il decano dei sociologi Giuseppe de Rita, «ha rinunciato a farsi partecipe dei bisogni della società e pensa solo a sé stessa».

Approvata con un’ unica seduta a tempo di record, la Manovra economica in Senato (quello che il premier Renzi voleva cancellare con la sua riforma costituzionale, ironia della sorte) resta sul tavolo una lunga serie di dossier a cominciare da quello economico, con numerosi provvedimenti che rimangono ora in mezzo al guado fino a data imprecisata. Il più importante di tutti è forse il disegno di legge sulla povertà del ministro Giuliano Poletti, in corso di esame alla Commissione Lavoro. E non c’ è bisogno di sottolineare l’ urgenza di una misura che riguarda una quarto della popolazione italiana, come attestano i dati recenti dell’ Istat.

Tra gli articoli del disegno di legge c’ è infatti quel reddito di inclusione a sostegno delle famiglie in difficoltà che è stato concepito come principale misura di contrasto. Il Fondo nazionale antipovertà, che ha stanziato circa 600 milioni di euro per il 2016, ne prevede quasi il doppio nel 2017: che fine faranno ora, visto che c’ è addirittura il rischio di scivolare nelle elezioni anticipate? I fondi verranno congelati fino a data da destinarsi? Ma la povertà non aspetta la fine della crisi, la povertà se ne frega e va avanti. L’ elenco delle cose da fare è lunghissimo, dalla riforma delle banche popolari (è atteso un pronunciamento della Consulta) al ddl sulla concorrenza, una legge importantissima che dovrebbe anche sanare molti nodi cruciali riguardanti i lavoratori dei call center. Rischiano lo stop anche i provvedimenti attuativi del contratto degli statali, la riforma del processo penale, che contiene una stretta sui tempi della prescrizione (da quanto tempo ne parliamo?) e soprattutto la riforma della giustizia civile, uno dei principali ostacoli allo sviluppo economico del Paese (oggi una causa civile può arrivare a durare anche sette anni). Sono poi numerosi i provvedimenti sul fronte dei diritti civili: dallo «ius soli», che permetterebbe ai figli di immigrati nati sul suolo italiano di divenire cittadini, alla legge sull’ omofobia, fino alla riforma della cittadinanza. Ci sono un milione di giovani, italiani di fatto ma non per la legge, in attesa di questo provvedimento. Mancano anche i decreti attuativi dell’ importantissima riforma del Terzo settore, che al suo interno contiene la nuova legge sul servizio civile universale, vero cuore della riforma. Questi e altri provvedimenti rischiano di rimanere al palo, congelando un Paese ancora fermo su un difficile crinale che potrebbe vederlo precipitare nel baratro. Non dobbiamo dimenticare che la ripresa c’ è ma stenta a decollare, e che il Paese avrebbe bisogno di concentrarsi sulla prima grande questione che riguarda il suo futuro: il lavoro.

Era sempre il rapporto Censis a certificare la povertà delle nuove generazioni rispetto a quelle dei loro nonni. Siamo in emergenza, occorrerebbe intervenire sugli investimenti, sulle tasse e sugli incentivi alla ripresa e invece, come in un incubo che si rinnova, stiamo per vivere il 64° stanco rituale della storia della Repubblica: la crisi di Governo, con le sue liturgie legate alle consultazioni, la ricerca da parte del Capo dello Stato di un nuovo presidente incaricato, il teatrino del dibattito politico con le accuse velenose che rimbalzano da un partito all’ altro. Nel frattempo il tasso di disoccupazione nel terzo trimestre ha subito una brusca frenata, rimanendo stabile all’ 11,6%, una percentuale doppia rispetto a quello della Germania e di molti altri Paesi dell’ Europa.

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