La rivincita di Renzi
ha con sè molte spine

Matteo Renzi lo nega, ma questa sua è chiaramente una rivincita: cercata, voluta e ottenuta. Una rivincita sulla coalizione dei No che lo ha battuto al referendum lasciandolo per settimane come inebetito, e una rivincita sugli scissionisti D’Alema, Bersani e Speranza che lo hanno abbandonato al suo destino certi che le primarie senza di loro e la loro base ex comunista sarebbero state un clamoroso flop e che dal voto sarebbe uscito un leader pallida imitazione di se stesso nei tempi arrembanti della rottamazione, del potere e anche – diciamolo – di una certa sicumera che tanto lo ha danneggiato.

E invece, Matteo Renzi ha dimostrato di essere un leader capace di tornare sul campo anche dopo un ko clamoroso attirando una massa di elettori e simpatizzanti doppia rispetto alle nere previsioni della vigilia che terrorizzavano i renziani: sotto il milione di votanti per Renzi sarebbe stata la batosta finale, con due milioni la corsa può ripartire. Insomma, come il suo corregionale Amintore Fanfani anche lui può essere montanellianamente soprannominato «il rieccolo». Già, tutto vero. Ma la strada che dovrà percorrere il ri-segretario sarà tutto tranne che di rose e fiori: di spine ce ne saranno tante, dovrà difendersene accortamente e con decisione.

La prima spina da risolvere riguarda la prospettiva elettorale: Renzi si trova in una situazione pericolosissima. In autunno verranno al pettine tanti nodi irrisolti della finanza pubblica e dei conti che non tornano,e probabilmente per superare il nuovo alt di Bruxelles il governo dovrà fare una manovra pesante, finora solo rimandata. Ma se si va a votare prima dell’autunno, prima del redde rationem con Bruxelles, prima di aver scontentato gli elettori, il Pd ha la possibilità di spuntarla e riprendersi il posto di primo partito soffiatogli dai Cinque stelle. Se viceversa si tornasse alle urne dopo le «lacrime e sangue», Renzi non riuscirebbe a dominare il malcontento mentre Grillo potrebbe fare il pieno di voti nonostante tutti i guai che pure il movimento sta passando, dalle scissioni territoriali dei dissidenti alle pendenze giudiziarie di Roma e Palermo, dalle liti tra capi e capetti ai deludenti risultati amministrativi, sino allo stato di crisi in cui è caduta la cosiddetta «democrazia del Web» con il caso Geova, la sconfessione di un vincitore e l’imposizione d’imperio di un candidato sindaco gradito al capo.

Tutto questo potrebbe non contare nulla agli occhi di un elettorato che in gran parte dell’Italia non si sente proprio uscito dalla crisi economica, è arrabbiato per la politica migratoria e teme per la propria sicurezza. Insomma, Renzi potrebbe aver vinto molto bene le sue primarie di partito e potrebbe rovinosamente capitombolare di fronte alla cabina elettorale consegnando il governo o ad un inedito duo Grillo-Salvini o ad un governo «tecnico» imposto da Bruxelles per evitare uno stato di cronica instabilità.

Ecco perché Renzi si trova in una posizione difficile: la sua tentazione di andare velocemente alle urne deve fare i conti con l’ostilità di gran parte del suo partito e dei vertici istituzionali, da Mattarella in giù. E d’altra parte se Renzi in breve facesse cadere il governo Gentiloni pur di provocare lo scioglimento del Parlamento non farebbe certo una mossa popolare.

E tutto questo avviene in un clima che è già elettoralistico: lo stesso Alfano comincia a distinguersi, ora difendendo il procuratore di Catania sospettoso delle Ong, ora mettendosi dalla parte della Lega sulla legittima difesa. Del resto con il presumibile ritorno del proporzionale tutti devono salvare innanzitutto la bottega, e la situazione potrebbe precipitare da sola senza essere stata pianificata dal capo del maggior partito in Parlamento. E questa davvero sarebbe la spina più pericolosa per Matteo e i suoi sodali.

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