L’Africa nel mirino
della Cina capitalista

L’approdo della Cina verso l’economia di mercato, in un sistema come quello Maoista in cui regnava la pianificazione, era ritenuto da molti impossibile. Evidentemente si sottovalutavano le capacità del capo del Partito comunista Deng Xiao Ping (1904-1997) che si guardò bene dal parlare di mercato ma che, in concreto, operò alacremente per la sua realizzazione. Il primo passo fu rappresentato dalla creazione delle «Zone economiche speciali», nelle quali si dette vita alle prime iniziative private. Dopo poco tempo furono realizzati i «Parchi economici», che introdussero i primi sistemi di commercializzazione. Successivamente, furono insediate sul territorio le «Imprese dei distretti» che spianarono la strada alle grandi privatizzazioni. Si racconta che Deng, da politico navigato, si spinse fino al punto di teorizzare la «necessità di appropriarsi del capitalismo per salvare il socialismo».

Oggi, mentre in Occidente si critica la «globalizzazione», la Cina la difende senza se e senza ma, trovando proprio nel Partito comunista un incondizionato sostegno. Nell’ultima riunione dei 20 a Davos, il capo del Partito Xi Jinping ha criticato aspramente il protezionismo e la «politica dei muri» proposta da Trump e seguita da altri Paesi occidentali, definendola «miope e dannosa». Questa e altre prese di posizione dei suoi massimi esponenti danno ragione a chi ritiene che la Cina si stia proponendo come Paese leader nello scenario economico e politico internazionale. Di grande rilievo, ad esempio, è la sua azione a sostegno di molti Paesi in via di sviluppo, attraverso la promozione di grandi iniziative d’investimenti in infrastrutture, in cambio di accordi per lo sfruttamento di risorse naturali. Per sostenere queste iniziative, il 31 marzo dello scorso anno la Cina ha invitato 51 Paesi ad entrare a far parte, come fondatori, dell’Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib), costituita con 50 miliardi di dollari di capitale che gradualmente saliranno a 100. Di questi P aesi fanno parte tutti i componenti del «Brics» (acronimo di Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), ma anche tanti altri, tra cui Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia. L’adesione di questi ultimi è stata malvista dagli Usa, che vedono nella «Aiib» un’autorevole alternativa alla Banca Mondiale.

Il nuovo istituto finanziario, infatti, punta a finanziare investimenti in varie parti del mondo, in ferrovie, strade, aeroporti, porti, edilizia sostenibile, gestione delle risorse idriche. La sua costituzione è stata legata, in particolare, al grande progetto denominato la «Nuova via della Seta», che si propone di unire –con infrastrutture stradali, ferroviarie e rotte navali – molti Paesi dall’Estremo Oriente fino all’Europa.

Da tempo Pechino ha stabilito come suo obiettivo economico strategico primario il finanziamento di alcuni Paesi africani, politicamente abbastanza stabili, nei quali costruisce infrastrutture stradali e ferroviarie che siano in grado di agevolare il loro sviluppo economico. Tutto ciò in cambio di accordi per l’utilizzo di fonti energetiche o per l’apertura di quei mercati alle proprie esportazioni. Tale azione ha avuto inizio nel 2000 con la creazione del «Forum economico Cina-Africa», che ha visto come primo Paese beneficiario di grandi investimenti l’Angola, paese ricco di petrolio, nel quale sono stati realizzati dalla Cina investimenti in grandi opere in grado di creare 330 mila posti di lavoro.

La stessa cosa è avvenuta con il Sudan, il Ciad, la Mauritania, la Guinea Equatoriale e la Tanzania. In quest’ultima, lo scorso anno una società di costruzioni pubblica cinese ha avviato la costruzione di un porto a Bagamoyo che costerà 11 miliardi di dollari e che sarà il più grande dell’Africa. Società cinesi, con proprie maestranze, hanno costruito in 4 anni, con un costo di 4,5 miliardi di dollari, la ferrovia elettrica Gibuti Addis Abeba lunga 750 chilometri, inaugurata all’inizio dell’anno con la presenza di quasi tutti i capi di Stato africani. Molte iniziative d’investimento, per complessivi 15 miliardi di dollari, sono state avviate e programmate anche con l’Egitto.

La contropartita è rappresentata da agevolazioni nell’utilizzo del Canale di Suez, rotta privilegiata verso l’Europa, che ha come primo porto di attracco il Pireo, acquistato dalla Cina. La circostanza che grandi multinazionali cinesi abbiano fino ad oggi investito oltre 50 miliardi di dollari in Africa fanno pensare ad un vero e proprio progetto di dominio economico su quell’area.

Insomma, tra i misteri della globalizzazione può anche esservi il paradosso che l’emorragia demografica africana, causa principale della drammatica emergenza dei flussi migratori verso l’Europa, possa essere in qualche misura gestita positivamente dalla nazione più popolosa del globo.

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