Le forbici della sinistra
sul «Giglio magico»

Lo avevano capito tutti che la Cgil, ben prima di dichiarare la rottura col governo sulle pensioni, aveva deciso di convocare una manifestazione di protesta proprio alla vigilia delle assise della sinistra anti-renziana. Ieri in cinque piazze, a Roma, Cagliari, Palermo, Torino e Bari, il sindacato ex comunista ha come «aperto» la convention che oggi, a Pala Atlantico della Capitale, sancirà l’unione elettorale di Mdp, Sinistra Italiana, Possibile e pezzi di Capo Progressista, applaudendo Piero Grasso come leader del cartello. Lo avevano capito tutti che questo era scritto sull’agenda della Camusso: portare uomini e mezzi alla sinistra radicale e contro il governo qualunque proposta Gentiloni e Padoan avessero fatto sull’età pensionabile.

La granitica segretaria di quello che fu il sindacato di Luciano Lama avrebbe detto comunque un «no» tondo, e pazienza se questo avrebbe significato la rottura con Cisl e Uil che, guardando i contenuti, hanno poi firmato l’intesa con palazzo Chigi. E così, tanti anni dopo la fine del Pci, la confederazione di Corso Italia ha imboccato di nuovo la strada del collateralismo con «il partito», e farà con esso un blocco unico – anche se attraversato da divisioni come vuole l’uso della casa – con un unico obiettivo: togliere al Pd il maggior numero di voti, causarne la crisi e rendere inevitabili le dimissioni di Renzi e la rottamazione del suo gruppo dirigente. Una volta spazzato via il «Giglio magico», D’Alema, Bersani e la Camusso potranno tornare «a casa» per riprendersi ciò che hanno sempre ritenuto come loro: il partito erede dei comunisti con l’aggiunta di qualche ex democristiano. Basta farsi una passeggiata in Transatlantico con un dalemiano, bere un caffè con un bersaniano, trascorrere un dopopranzo con un deputato-ex sindacalista (ce ne sono tanti), per capire che questo è l’obiettivo e che si pagherà qualunque prezzo pur di raggiungerlo. Foss’anche un governo della destra o dei grillini: in questi casi la sinistra pensa che l’opposizione sia «rigenerante», e fornisca linfa nuova e pura utile alla battaglia.

La bandiera della campagna elettorale e della prossima legislatura sarà il ritorno all’articolo 18 (d’accordo con i grillini), l’abolizione della legge Fornero (in sintonia con Salvini), della buona scuola (lo vuole anche Forza Italia) e di tutte le riforme dell’era Renzi-Gentiloni, nessuna esclusa. Più la patrimoniale e/o il ritorno alla tassa sulla casa. Stupisce semmai che i renziani, pur avendo capito benissimo quale fosse l’aria, abbiano mandato Piero Fassino quasi col cappello in mano a cercare una di riannodare con gli scissionisti ex Pd. Forse il tentativo è stato fatto per dimostrare buona volontà e anche un po’ di pentimento per l’atteggiamento di sufficienza e quasi di sollievo che i renziani ostentarono quando la scissione maturò. Ora che è avvenuta, la sinistra-sinistra è accreditata, mettendo insieme tutte le sigle e siglette dietro la bandiera di Piero Grasso, di un sei per cento elettorale. Anche se aumentasse non sarebbe granché, ma è del tutto sufficiente a causare il capitombolo del Pd. Ci si potrebbe chiedere quali siano i progetti di questa sinistra «purista» alternativi a quelli della sinistra «moderata» e «renziana»: per il momento l’argomento è abbastanza sottotono, un po’ per la dimostrata inadeguatezza progettuale della sinistra mondiale nell’affrontare le sfide del mondo digitale post-novecentesco; un po’ perché la tattica in questo momento è molto più importante della strategia. Massimalisti contro riformisti: una storia vecchia che affonda le sue radici all’inizio del secolo scorso e non trova mai un esito, solo una inesausta ripetizione, sempre più scolorita, sempre meno eccitante.

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