Le gride manzoniane
e la Merkel sconfitta

Dopo il vertice di Bratislava sembra che Angela Merkel e Matteo Renzi non si capiscano più. Eppure è chiaro che in tema flessibilità e crescita la Germania non intende discostarsi dalla politica dello zero virgola. Basta leggere l’intervista di ieri del presidente della Bundesbank Jens Weidmann per capire che la linea è una e una sola: ognuno risponde del suo debito. E se quello italiano è ingente e al limite della sostenibilità la colpa non va ricercata al di fuori dei confini italiani.

Il capogruppo cristiano democratico al Parlamento europeo Manfred Weber ha ribadito che la Germania si tiene alla larga da politiche europee che implichino una garanzia finanziaria da parte di Berlino.Le ragioni di questa cautela sono state confermate ancora una volta dal voto di domenica per l’elezione del borgomastro di Berlino. I partiti popolari della Spd e della Cdu perdono mentre AfD (Alternativa per la Germania) partito nazional-conservatore con connotazioni xenofobe e antieuro arriva al 14% circa.

Berlino è città cosmopolita con forti tradizioni di sinistra dove l’immigrazione è un fatto compiuto. In un contesto del genere colpisce dunque che il risultato raggiunga le due cifre. La Cdu con il 17% è appena tre punti sopra quello che è ormai il suo antagonista alla destra del partito. Le ansie di Angela Merkel sono tutte qui. La frammentazione del voto trova conferma e il primo risultato a Berlino è che la grande coalizione fra Spd (socialdemocratici) e Cdu (cristiano democratici) non ha i numeri per governare. Uno scenario che potrebbe ripetersi alle elezioni di settembre 2017 con la Spd che aspira ad una nuova coalizione rosso-rosso-verde. Portare al governo il partito di estrema sinistra con un passato comunista è il frutto dell’incertezza del quadro politico ed un modo per i socialdemocratici per sottrarsi all’abbraccio mortale delle grandi coalizioni a guida Merkel.

Per il cancelliere i tempi sono grami. Questo spiega molto della sua politica estera e dà una chiave di lettura all’irritazione del primo ministro italiano dopo il vertice di Bratislava. L’obiettivo primo è consolidare il patto con la Turchia per bloccare i migranti alla frontiera greca . Mentre sul fronte sud la proposta di un Migration Compact rimane sulla carta e non si fanno passi avanti. Il governo tedesco non spinge sul tema degli aiuti all’Africa, come deciso nel 2015, né sul rimpatrio dei migranti che non sono rifugiati politici, né tanto meno sulle quote di ridistribuzione presso i 27 Paesi dell’Unione. Il motivo è semplice: non si vuole scontentare il gruppo di Visegrad. Dall’assenso di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia dipende la concessione del finanziamento di 6 miliardi di euro promesso alla Turchia. Il governo tedesco è sotto scacco al punto da indurre il cancelliere a prendere le distanze dalla risoluzione ottenuta all’unanimità del Bundestag contro lo sterminio turco del 1915 del popolo armeno. Angela Merkel si umilia davanti all’autocrate Erdogan e solo così ottiene che gli aerei e il personale militare della Luftwaffe dislocati nella base turca della Nato possano essere visitati dal personale di governo di Berlino. Questo è lo stato dell’arte della politica tedesca a guida Angela Merkel e andrà avanti così sino a settembre 2017. La politica di sostegno al fronte sud dell’Europa deve lasciare spazio agli interessi di politica interna tedesca. Matteo Renzi dovrà inventarsi altri colpi di scena per ottenere qualche decimale in più. Ma una politica di crescita a livello europeo non si farà. Ascoltate dalla capitale tedesca, le proteste del primo ministro italiano risuonano come grida manzoniane.

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