L’estate che cambia
la finanza italiana

Banche, ma non solo, agitano un’estate tutt’altro che vacanziera, per la finanza italiana. Almeno gli stress test sono alle spalle, e la dimostrazione che servano davvero a poco, in pratica solo alla speculazione, sta nella reazione della Borsa, che è inversamente favorevole a chi li ha superati brillantemente. Ma la centralità della questione banche non deve mettere in secondo piano che questa è anche l’estate della finanza industriale e di quella della comunicazione. La nuova Torino a 5 Stelle perde definitivamente, destinazione Olanda, il più importante pezzo della sua storia, con il Lingotto che un tempo produceva automobili e poi guidava, da una cupola trasparente sul tetto, il gruppo in cui l’intera industria italiana si identificava. La svolta è davvero epocale.

È inoltre molto importante quello che sta accadendo nella comunicazione. C’è la resa sempre di Torino alla supremazia di Milano per quanto riguarda un fiore all’occhiello come il Salone del Libro. E soprattutto c’è la mossa aggressiva di Bollorè su Mediaset (perché di questo si tratta, essendo Premium solo un diversivo), che apre una vicenda che sarà lunga e dagli esiti incerti, mettendo sotto tiro il più grande gruppo privato del settore, dopo che Telecom è già passata sempre agli stessi francesi di Vivendi. Si intravede la nuova aggregazione tra strutture industriali e contenuti, che rappresenta il futuro del comparto. Avremo il paradosso di un governo di sinistra che dovrà difendere l’italianità di Mediaset?

La famiglia Berlusconi ha gridato allo scandalo, ma vicende Mondadori lontane e vicine sono lì a ricordare che non è questo un terreno per pranzi di gala. È la finanza, bellezza, si potrebbe dire. Che la lotta sia diventata dura lo dimostra la conquista di Rcs da parte di Urbano Cairo, inizialmente considerato un parvenù dai salotti buoni che gravitavano attorno a Mediobanca, ma che hanno perso con l’uscita di Fiat l’asse centrale. Cairo non è uno scalatore alla Ricucci, tornato proprio in questi giorni nel quartierino di Regina Coeli, e soprattutto Mediobanca ha cambiato ruolo, se proprio non vogliamo dire che lo ha perso. È Banca Intesa il nuovo perno del sistema.

L’«enfant terrible» Diego Della Valle è stato il primo a scuotere l’albero coltivato dal «vecchio» Bazoli e dal «bambino» Elkan, ma i frutti sono appunto caduti tutti nel cesto dell’ex segretario particolare di Silvio Berlusconi e il marchigiano si è trovato alla fine dalla parte sbagliata, passando dalle scarpe con i bollini alle carte bollate.La gioiosa macchina messa in campo da un nome emblematico della vecchia guardia finanziaria, quello di Andrea Bonomi, si è così infranta contro l’Ops del presidente del Torino Calcio, che ha vinto per i soldi di Banca Intesa e la capacità dei suoi consulenti, il meglio nei vari campi, da Erede a Barabino.

Un evento, anche questo, che segna il cambio di un’epoca, perché è davvero tramontata l’egemonia un po’ snob di una coalizione che si stringeva attorno a una bandiera, il «Corriere della Sera», e da lì influenzava equilibri politici ed economici. Cairo è un editore puro, quello che in fondo è sempre mancato all’editoria italiana per renderla un po’ anglosassone. Non che l’aggettivo puro sia sintomo di per sé di moralità superiore. Il più grande editore puro del mondo, Rupert Murdoch, non è proprio un esempio di disinteresse e obiettività. Ne sanno qualcosa i britannici di tutti i governi e la stessa Casa Reale. Ma insomma c’è da prevedere che l’azienda verrà rivoltata, i tagli saranno duri, la concessionaria di casa alla fine prevarrà e certi lussi da «noblesse oblige» della storia di Rcs, che ha visto di tutto, dalla P2 in giù, possano essere ribaltati. Vedremo.

Certo è una svolta che – tornando alla finanza – segnala oggi un nuovo soggetto che svetta nel panorama italiano, quella Banca Intesa che proprio il «vecchio» Bazoli ha consegnato, con Carlo Messina e Gaetano Miccichè, ad una conduzione che ne ha fatto il gruppo bancario più solido del Paese. Per un motivo preciso, che anche piazzetta Cuccia dovrà accettare, e cioè che con questa crisi, contano meno i giochi di potere ed è invece determinante conoscere e sostenere l’economia reale.

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