L’incontro avvicina
le larghe intese

Si avvicina davvero l’accordo sulla nuova legge elettorale, un sistema proporzionale «alla tedesca» con sbarramento al 5%. La cautela è d’obbligo perché spesso in politica, e nella politica italiana in particolare, saltano all’ultimo momento anche le intese più «sicure». E tuttavia i tasselli del complicatissimo puzzle che per mesi ha impegnato i partiti sembra che stiano andando ciascuno al proprio posto. Ieri da questo punto di vista è stata una giornata davvero significativa: l’incontro tra il Partito democratico e il Movimento Cinque Stelle ha sancito l’accordo sul sistema a suo tempo proposto da Berlusconi mentre secondo alcune indiscrezioni un colloquio telefonico tra Matteo Renzi e il Cavaliere avrebbe chiuso il cerchio sia sulle riforma che sui tempi per andare a votare.

Insieme a Pd, M5S e Forza Italia anche la Lega è pronta a votare una legge del tipo prospettato. Il problema vero riguarda i partiti minori, di centro, di destra e di sinistra, ovvero tutti quelli che hanno un patrimonio elettorale inferiore ai due milioni di voti, cioè al 5%, soglia di sbarramento prevista dal sistema tedesco. Un muro così alto è in grado di far sparire i centristi dei vari «cespugli», a partire da Alfano, Casini, Cesa, Verdini, Dellai, Fitto, Quagliariello, Pisicchio, ecc. Ma anche i bersanian-dalemiani rischiano grosso, come la Sinistra Italiana del segretario Fratoianni che pure, con sicurezza, afferma che «per lui non ci sono problemi».

Messi tutti insieme, i partitini arrivano al 15-16% dei voti, un pezzo di elettorato che resterebbe senza rappresentanza ma che pure contribuirebbe a rafforzare i partiti maggiori che si potrebbero spartire i resti. Tanto è vero che se c’è una cosa certa nell’accordo a quattro è che la quota del 5% non si tocca: a nulla sono valse le proteste di Alfano e tantomeno la minaccia di rompere il patto di maggioranza che regge il governo. Tanto, finché deve durare, a sostenere Gentiloni può provvedere il soccorso di Forza Italia come già sta accadendo sui voucher (per la cui approvazione in Senato mancherà anche il sì dei bersaniani).

I partitini che temono di sparire faranno di tutto per impedire che l’accordo si concluda e che porti nella prossima legislatura ad un governo di larghe intese. Già, perché è questo il quasi certo esito del proporzionale alla tedesca: nessuno dei tre poli allo stato dovrebbe prevalere nettamente e quindi si finirebbe per cercare in Parlamento una soluzione, proprio come si faceva nella Prima Repubblica in cui vigeva il sistema proporzionale. Non è un mistero che si potrebbe formare un governo «di larghe intese» tra Pd e Forza Italia, una riedizione del Patto del Nazareno che escluderebbe sia la sinistra che la Lega, ma che soprattutto sbarrerebbe la strada ai Cinque Stelle. In questo il modello tedesco verrebbe seguito fino in fondo dal momento che la «Grosse Coalition» in Germania è attiva da molti anni.

C’è una domanda finale: se, grazie all’accordo politico, la riforma elettorale viene varata in tempi stretti – diciamo alla fine di luglio – quando si andrà a votare? Quando cadrà Gentiloni? I grillini chiedono le elezioni in settembre, le date più accreditate invece sono quelle di ottobre. Però bisogna aspettare di sapere cosa farà Sergio Mattarella. Quel che pensa il Capo dello Stato già lo si sa: vuole che – elezioni o non – la manovra d’autunno da presentare a Bruxelles sia portata a termine senza esercizio provvisorio di Bilancio che scatenerebbe contro l’Italia un’altra bufera finanziaria. Forse non è un caso che ieri la Borsa di Milano, alla notizia di un accordo imminente sulla legge elettorale e sulla data del voto, abbia fatto segnare un pesante meno 2%, maglia nera in Europa. Evidentemente i timori per questa corsa verso le urne sono diffusi e il partito dei «frenatori» può ancora contare su qualche carta anche se poco può contro la fretta dei due principali contendenti elettorali, Renzi e Grillo che scalpitano per aggiudicarsi la vittoria. Quanto a Berlusconi, lui l’incasso lo ha già fatto: l’accordo si farà sul sistema elettorale più congeniale ad un centrodestra ancora guidato da lui e di nuovo protagonista sulla scena.

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