Mattarella, stile
sostanza e garanzia

l futuro si chiama Sergio Mattarella. Azzardato? Può darsi, ma non inverosimile. Ce lo ha dimostrato la vicenda Visco, il governatore della Banca d’Italia confermato dal governo nonostante l’azionista del governo, il Pd di Matteo Renzi, ne reclamasse la testa. E ora Renzi deve fare i conti con una battaglia perduta. Perduta con chi? Con chi gli ha contrapposto le ragioni «dell’autonomia e dell’indipendenza della Banca d’Italia», cioè Sergio Mattarella, appunto, senza il quale Paolo Gentiloni non avrebbe potuto resistere al pressing di via del Nazareno. Quando il segretario Pd ha cercato lo scalpo del governatore per poter rovesciare su di lui in campagna elettorale l’accusa di mancata vigilanza sulle crisi bancarie, il Quirinale ha fatto sapere: la decisione di confermarlo è presa, e tale rimane. Infatti.

Questo è solo l’ultimo esempio di una linea quirinalizia che dopo due anni (Mattarella fu eletto il 3 febbraio 2015) va emergendo. Basta tornare poco indietro per trovarne altre tracce: quando Matteo Renzi, dopo la sconfitta del referendum, andava cercando ogni strada per correre alle elezioni anticipate travolgendo il neonato governo Gentiloni, Mattarella gli ha opposto un no, e no è stato. «Prima fate una nuova legge elettorale, poi si va a votare». E così è stato: in quest’anno Gentiloni si è riparato all’ombra dell’ombrello aperto dal Quirinale per continuare a governare con relativa tranquillità mentre le scosse renziane piano piano si affievolivano. Non c’era alcuna possibilità di convincere Mattarella a precipitarsi verso il voto con in mano i rimasugli di due leggi elettorali, il Porcellum e l’Italicum che la Corte Costituzionale aveva fatto a pezzi. Il Presidente non è entrato nel merito del calcolo politico del segretario Pd il quale, chissà perché, si era convinto che andando subito le urne avrebbe potuto prendersi il 40 per cento dei voti raccolti al referendum, e dunque trionfare subito dopo una bruciante sconfitta. Non era quello il campo su cui il Quirinale giocava, un campo tutto politico dal quale Mattarella si ritrae per convinzione, mentalità e stile: il punto che interessava era la tenuta delle istituzioni, impensabile senza una legge elettorale organica.

Perché il punto è esattamente questo. Tanto Mattarella si tiene fuori dai giochi dei partiti, tanto è inflessibile con chiunque nel difendere le sue prerogative. Nessuno in questi due anni si è permesso di accusarlo di impicciarsi degli equilibri politici (come invece è successo con diversi suoi predecessori) ma tutti hanno dovuto fare buon viso alle sue decisioni e ai suoi no. I quali, molto democristianamente, sono pronunciati a bassa voce, con gentilezza, senza intemerate, senza aggettivi sopra le righe, dopo lunga riflessione, pensando le parole, né una di troppo né una di meno. Senza protagonismi. Se mai Renzi, portandolo al Quirinale a costo di rompere il patto di Berlusconi, pensava di aver messo in quell’ufficio uno yes man, si è sicuramente ricreduto. Chi conosce Mattarella sa che i modi da gentiluomo siciliano nascondono il carattere di un pastore sardo.

Ma paradossalmente tutti coloro che solo di recente si sono accorti di chi hanno eletto Presidente, si potranno giovare delle sue caratteristiche nella prossima legislatura che si aprirà (e si chiuderà) nel segno della incertezza e della instabilità. Quando i partiti conteranno i voti e si accorgeranno che nessuno ha davvero il pallino in mano, dovranno affidarsi all’arbitro della partita che ha a cuore le regole, non tiene i conti di bottega a nessuno e per questo è una garanzia per tutti. Anche perché Mattarella, a differenza di tutti gli altri, è sicuro di rimanere in sella fino al 2022.

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