Migranti, la priorità
è salvare vite umane

Quanto sono ragionevoli i dubbi sull’attività delle ong che soccorrono i migranti nel Canale di Sicilia? Il sospetto che alcune organizzazioni non governative del mare soccorrano i migranti in cambio di denaro nasce dall’agenzia Frontex, che parla di imbarcazioni delle ong battenti bandiera panamense che violano le acque territoriali libiche, spengono il trasponder per non farsi localizzare e non si sa bene cosa facciano all’ombra dei radar. La Procura di Catania ha aperto un fascicolo. Si tratta di un’indagine conoscitiva (questo e il termine tecnico) in merito alla violazione dell’articolo 12 della legge Bossi-Fini e dell’articolo 416 del codice penale che puniscono l’agevolazione dell’immigrazione clandestina. Secondo informazioni dei servizi in mano alla Procura ci sarebbero anche delle telefonate o dei messaggi «WhatsApp» tra gente a bordo di alcune navi di cui non si conosce l’identità e alcuni trafficanti di uomini sulla costa libica. In questi messaggi si annunciano partenze imminenti dalla Libia e assicurazioni sul fatto che le navi verranno in soccorso.

Non si tratta di prove, per la stessa ammissione del procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, ma di fatti da accertare, poiché per il diritto penale una prova è accertata solo da ufficiali di polizia giudiziaria che in questo caso non ci sono. Questa originale vicenda giudiziaria è finita al Csm e ha scatenato una scia di polemiche e critiche, anche da parte di magistrati del calibro di Edmondo Bruti Liberati, già capo della Procura di Milano.

Vi è poi un secondo livello, amplificato dalle celeberrime dichiarazioni del vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, che ha parlato genericamente di «ong taxi» e delle reazioni sdegnate del mondo del volontariato che salva vite in mare. Anche l’ex ministro degli Interni Alfano ha difeso a spada tratta Zuccaro, entrando in collisione con il collega Orlando.

È ovvio che la Procura catanese deve andare avanti contro le (poche) eventuali ong che farebbero affari in combutta con i trafficanti di uomini. Ma è altrettanto vero che tutta la vicenda rischia di infangare la stragrande maggioranza delle organizzazioni che salvano vite in mare e, in ultima istanza, la stessa idea di salvataggio, un imperativo del diritto naturale e di chiunque abbia un briciolo di umanità e di coscienza cristiana.

Solo nel 2016 sono state salvate in mare 181.436 persone: uomini, donne, vecchi, bambini. Il 30 per cento dei salvataggi è avvenuto ad opera delle ong, che operano in gran parte sotto il coordinamento della Guardia Costiera e colmano un vuoto degli Stati, i primi responsabili dei salvataggi dei naufraghi come impone anche la convenzione di Amburgo. I «push factor», le cause che spingono a rischiare la vita con gli sbarchi, sono la fame, la guerra, la dittatura, il terrorismo, come ha confermato nella sua audizione al Parlamento l’ammiraglio Enrico Credendino, capo della missione Eunavformed-Sophia.

Quando si è passati dall’Operazione Mare Nostrum all’Operazione Mare Sicuro, nell’intervallo di tempo tra le due missioni gli sbarchi non si sono fermati ma sono aumentati. Non sono le navi di salvataggio a spingere quell’umanità disperata a partire. Dobbiamo riflettere su una conseguenza gravissima di tutta questa storia. Le polemiche strumentali sui «taxi» finiscono per indebolire l’accoglienza e il salvataggio in mare (come ha detto il direttore della Fondazione Migrantes Gian Carlo Perego) e soprattutto spostano i riflettori dalle responsabilità degli Stati Europei e della politica, incapaci, a decenni di distanza di gestire i flussi, creare i corridoi umanitari, organizzare i soccorsi. Dando una giustificazione morale a tutti quelli che magari in cuor loro li lascerebbero affogare nel Mediterraneo.

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