Non solo finanza
È una crisi di credibilità

È crisi di credibilità. Moody’s dovrà pagare 864 milioni di dollari al Dipartimento di giustizia Usa e a 22 autorità federali americane per i rating gonfiati ai subprime prima dello scoppio della bolla immobiliare che portò alla crisi finanziaria del 2008-2009. Fu l’inizio della crisi della quale paghiamo ancora le conseguenze. Le agenzie di rating sono tornate ancora una volta nel mirino e sotto la lente d’ingrandimento è finita la credibilità dei loro giudizi. Per un rating che era stato gonfiato eccone un altro che si sgonfia: è di venerdì scorso la notizia che la più piccola delle agenzie di rating e l’unica a non essere statunitense, la canadese Dbrs, buon’ultima ha tolto la residua A al rating del debito sovrano italiano, portandolo a BBB+. Si è cioè allineata con grande ritardo a quanto le tre agenzie maggiori avevano già fatto da tempo. In un caso come nell’altro, coda di polemiche politiche.

Ma gli stessi politici che scatenano tali polemiche e che ora sono sulla cresta dell’onda sfruttando ondate populiste, alla prova dei fatti mostrano di essere poco credibili: non è credibile Donald Trump nella sua critica all’establishment finanziario dopo che ha imbottito la lista dei suoi collaboratori di persone targate Goldman Sachs, la banca d’affari; rischiano la loro credibilità in Italia i 5 Stelle per l’inconcludenza delle amministrazioni a loro guida, buona ultima quella, ancora prima dei problemi giudiziari, della giunta Raggi a Roma. E la crisi di credibilità del sistema porta al crollo della fiducia dei consumatori e delle imprese, mancanza di fiducia che è la vera mina dell’economia. Della notizia della multa milionaria a Moody’s, con Standard & Poor’s (che pagò per la stessa questione una multa ancora maggiore nel 2015) e Fitch una delle tre grandi agenzie che danno i voti alla sostenibilità di debiti sovrani e debiti privati, c’è dunque poco da gioire. È solo l’ultima conferma, in ordine cronologico, che la crisi economica e finanziaria è crisi di sistema e che la ripresa, o ripresina, in atto non è strutturale ma ha bisogno di ripensamenti globali e sostanziali.

Ma questa considerazione non ci autorizza ad un’autoassoluzione. Se la crisi è crisi di credibilità sarà bene fare tutti la propria parte con azioni coerenti e positive. Del resto se Moody’s è arrivata a dover pagare è perché ha ammesso che nel formulare le valutazioni di merito dei mutui subprime non aveva seguito i suoi «criteri standard» inseguendo lucrose commissioni. E se l’Italia è stata declassata da Dbrs non è stato tanto perché la vittoria dei No al referendum ha portato alla crisi di governo, confermando l’instabilità politica cronica, quanto per l’incapacità di saper portare in porto riforme sostanziali e strutturali, qualunque esse siano. Da una parte quindi la mancanza di coerenza nell’applicazione dei criteri standard, dall’altra l’incapacità di sapere agire ed amministrare. Questo è un monito per tutti e per ciascuno a compiere con diligenza il proprio compito.

Resta il limite strutturale. L’economia non può essere lasciata in mano al mondo della finanza che agisce unicamente con logiche speculative. Esiste una necessità di controllo stretto e cogente delle istituzioni politiche su quelle finanziarie, non viceversa. Da tempo il tema al centro del dibattito è questo, ma le istituzioni internazionali non sembrano avere la forza, che può derivare da una ripresa della loro credibilità, di affrontarlo. Il sistema delle regole va continuamente controllato e revisionato. La favola del sistema finanziario che sarebbe in grado di autoregolamentarsi e di essere autoimmune da tempo è stata smascherata. Questa ulteriore multa milionaria è solo una conferma, non certo una novità.

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