Nostalgia e dovere
È il parroco d’oggi

Giorni di grandi lavori in corso nelle parrocchie della diocesi, «lavori in corso» pastorali, naturalmente, con la ripresa della catechesi, degli oratori, delle liturgie e tutto il resto. Per la verità i lavori in corso non cessano mai. In qualche modo una «normale» parrocchia è sempre un cantiere aperto.

Nei contatti, nelle molte riunioni di programmazione di questi giorni si è ripetuta un’osservazione che non è nuova: i preti sono chiamati a un lavoro spesso esorbitante. Le ragioni sono molte. Ma due soprattutto. La prima è una notissima questione di numeri: i preti diminuiscono e il fenomeno appare inarrestabile.

Anche quest’anno la diocesi di Bergamo ha dato il via ad alcune nuove «unità pastorali», dettate certamente da modi nuovi di presenza sul territorio, ma anche, banalmente, dal fatto che i preti, appunto, diminuiscono.

La seconda è una questione di stile ed è meno nota: la cura delle parrocchie chiede un lavoro sempre più differenziato. In particolare i gruppi di rappresentanza (Consiglio pastorale, Consiglio per gli affari economici, Consiglio dell’oratorio…), i gruppi di catechesi e di lettura della Bibbia, i gruppi destinati a tipi di persone particolari (giovani, famiglie, coppie…) sono sempre più numerosi.

E poi c’è il lavoro sfibrante di cura delle strutture: quelle fisiche di chiese (1.400 chiese per 389 parrocchie), case, oratori, scuole materne. Le scuole materne. Si hanno notizie di parrocchie che «devono» tenere aperte scuole materne con pochi bambini: sono diventate le bandiere di piccole comunità, soprattutto nelle alte valli, impossibilitate a chiudere per non creare disagi alle famiglie, in grosse difficoltà a tenere aperto perché i soldi che entrano sono pochi per via dei pochi alunni e quelli che escono sono tanti, comunque. Insomma: moltissimo lavoro.

Fino al paradosso che è stato più volte notato. Se si confrontano le chiese piene di un tempo e con quelle vuote di oggi si deve constatare che un tempo il prete lavorava poco per molte persone, oggi lavora molto per poche persone.

L’obiezione, di fronte al grande indaffararsi del prete, fa nascere spesso la domanda provocatoria di laici e collaboratori: ma perché si ostina a voler fare tutto lui? Che sia proprio lui a volere fare tutto non è sicuro, soprattutto non è sicuro in tutte le parrocchie e per tutti i preti. Ma che resista ancora tenacemente questo desiderio di esserci dappertutto è abbastanza evidente.

Con una osservazione che sembra proprio imporsi da sé. Il prete, abituato da sempre a fare tutto, continua a essere costretto a fare tutto, anche quando non lo vuole. È una specie di pena del contrappasso: pagare con lo stress di oggi il potere di ieri. Con l’aggravante che chi paga lo stress oggi non è lo stesso che ha esercitato il potere ieri.

Nei giorni scorsi è stato letto un brano celebre, che si trova solo nel Vangelo di Luca, quello di Marta e Maria. Sono le sorelle di Lazzaro, quello che Gesù farà risorgere dai morti. La scena è nota. Maria sta seduta ai piedi di Gesù e lo ascolta. Marta invece, è la donna di casa, che si sta indaffarando a preparare il pasto all’ospite. A una certo punto Marta si rivolge a Gesù e gli chiede: «Non ti importa che mia sorella mi abbia lasciato sola a servire?». Gesù, però, delude Marta e le rivolge una specie di fraterno rimprovero: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose» e loda Maria che, dice, «ha scelto la parte migliore».

«Noi preti – mi dice un amico parroco – siamo una schiera di Marte, indaffaratissime. Ma che, spesso, quasi sempre anzi, non hanno perso il desiderio di leggere, di pregare, di riposare, anche. Siamo Marta che vorrebbe fare la Maria. Ma abbiamo il lavandino pieno di tante di quelle padelle, e piatti sporchi e bicchieri e tazzine. Non riusciamo a finire di lavare tutta quella roba per poi correre a sederci, come Maria, ai piedi di Gesù. Siamo, appunto, della Marte che hanno un gran desiderio di fare un po’ le Marie. Ma non ce la facciamo», conclude l’amico con una punta di acuta amarezza. E sono quindi costretti, questi indaffarati rematori della navicella, a vivere sempre più tra la fatica di quello che si deve e la nostalgia di quello che si vorrebbe.

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