Ora l’Italia è davvero
in prima linea

Al di là della tragedia, l’aspetto più preoccupante dell’attentato di Tunisi è che l’Isis – o una delle organizzazioni che gli si sono affiliate – si è avvicinato ulteriormente all’Italia. Avevamo cominciato ad allarmarci quando gli jihadisti si sono insidiati in una Libia senza legge, dobbiamo allarmarci doppiamente ora che hanno cominciato ad agire massicciamente in una Tunisia, che consideravamo – con il senno di poi forse a torto – l’unico Stato arabo che avesse beneficiato della famosa primavera dandosi un assetto democratico.

In realtà, sotto il coperchio di un Parlamento liberamente eletto e di un presidente laico che era stato ministro del mitico Bourgiba, la pentola continuava a bollire più di prima. La Tunisia è infatti il Paese musulmano che, in proporzione ai suoi abitanti, ha fornito il maggior numero di combattenti all’Isis – si parla di quasi tremila – e i due uccisi durante l’assalto al museo del Bardo erano proprio «jihadisti di ritorno», giovani decisi a seminare il caos in patria dopo essersi addestrati ed equipaggiati sui campi di battaglia della Mesopotamia. Quei jihadisti di ritorno, cioè, che sono considerati la più grave minaccia anche per l’Europa, dove sono già entrati in azione in diverse occasioni.

Fino ad ora, all’Italia sono stati risparmiate stragi tipo Madrid, Londra e Parigi, non sappiamo se per l’abilità dei nostri servizi o per una decisione dei vertici del terrorismo islamico. Ma questa tregua potrebbe finire presto, sia perché sulla rete appaiono sempre più spesso minacce precise contro di noi e il Vaticano (ieri, su un sito, è comparsa la foto del cadavere di una delle nostre vittime con la agghiacciante scritta «così si schiaccia un crociato italiano»), sia perché siamo alla vigilia di due eventi che sembrano fatti apposta per attirare l’attenzione dei terroristi: l’Expo di Milano e il Giubileo proclamato da Papa Francesco. Entrambi attireranno milioni di stranieri, rendendo più difficili i controlli alle frontiere ed entrambi offrono bersagli ad alta valenza mediatica, cioè quelli preferiti da una organizzazione il cui obbiettivo primario è di incutere terrore nella gente.

Non sappiamo in che misura il nostro governo se ne renda conto, né se abbia i mezzi per contrastare una offensiva in piena regola. Il ministro Gentiloni dice che non siamo ancora in stato di massima allerta ma solo di preallerta massima (ci piacerebbe sapere quale è la differenza) e il ministro Pinotti promette un potenziamento del dispositivo aeronavale nel Mediterraneo centrale (ma dovrebbe dirci a che cosa servono le fregate contro i terroristi). E apprendiamo che il nucleo che ha pianificato l’attacco sarebbe composto in parte da individui a suo tempo arrestati e processati in Italia ed espulsi una volta scontata la pena; da gente, cioè, che abbiamo restituito alla lotta armata, che conosce bene il nostro Paese e cui probabilmente non spiacerebbe prendersi una vendetta.

La cosa principale da fare, ora che siamo davvero in prima linea, è di potenziare ulteriormente la collaborazione con i servizi segreti degli altri Paesi, compresa quella Russia che sarà anche sul banco degli imputati per l’Ucraina, ma nella lotta contro l’estremismo islamico è certamente dalla nostra parte. È anche urgente stringere le maglie della immigrazione, perché è proprio da Libia e Tunisia che parte la maggioranza dei boat people che vengono a cercare asilo da noi. Infine, speriamo che l’attentato di Tunisi serva almeno a dare la sveglia ai troppi italiani che non hanno ancora capito la minaccia, oppure le sono indifferenti. Quando, giorni fa, ho letto che in una classe di 25 ragazzi 23 non avrebbero difficoltà a convertirsi all’islam se questo arrivasse a dominare l’Italia mi sono venuti – in tutta franchezza – i brividi.

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