Patrimoniale, l’imposta
per ridare equità

L’Italia è uno dei Paesi dove, dopo la crisi economica dell’ultimo decennio, la disuguaglianza sociale è più aumentata e dove la concentrazione di ricchezza verso l’alto è diventata più evidente. Ci candidiamo a divenire un Paese di stampo sudamericano, dove non esiste il ceto medio e la società si divide tra molti poveri e pochi ricchi, con un rapido espandersi di quelli che Keynes chiamava i «rentier», i cosiddetti «redditieri». Lo scrive l’Ocse, la prestigiosa Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che ha sede a Parigi nel suo ultimo rapporto, spiegando che uno dei modi per ridurre più velocemente i divari di ricchezza è l’imposizione della tassa patrimoniale.

La necessità di adottare, spiega l’Ocse, «una tassa sulla ricchezza netta» è minima nei Paesi dove sono applicate su larga scala le tasse sui redditi e sui capitali personali, comprese le imposte sulle plusvalenze finanziarie, e dove le tasse di successione sono ben disegnate. Al contrario, potrebbe funzionare ed essere utile dove la tassa di successione non esiste e dove le imposte sui redditi sono particolarmente basse. In Italia le imposte sui redditi non sono per nulla basse, ma dopo i 75 mila euro di reddito, quando scatta l’ultima aliquota del 43%, sono uguali per tutte, milionari compresi. Dunque non c’è nessuna differenza, sul piano della tassazione del reddito personale, tra chi guadagna 75 mila euro l’anno e chi, mettiamo dieci milioni di euro (anche se il numero, ovviamente si riduce notevolmente). E la patrimoniale? Da noi non c’è mai stata, a meno che non si consideri una patrimoniale la tassa del sei per mille sui conti correnti imposta dal governo Amato nel 1992, quando l’Italia rischiava di finire nell’occhio del ciclone per una tempesta speculativa che stava aggredendo il debito pubblico. Ma quella patrimoniale sui conti correnti colpiva tutti i detentori di conto corrente, non solo i ricchi. Una «patrimonialina» è stata definita anche l’Ici, introdotta dal governo Monti nel 2012 (anche in quel caso in piena tempesta finanziaria speculativa), oggi abolita sulle prime case e applicata solo sulle seconde. Anche l’imposta di successione è una patrimoniale: quest’ultima, quasi abolita dal primo governo di Silvio Berlusconi (fu il primo provvedimento del suo governo), fu reintrodotta dal governo di Romano Prodi. La soglia di patrimonio oltre la quale oggi vale l’imposta è alta, circa un milione di euro.

Una delle difficoltà di imporre una patrimoniale «alla francese» (la cosiddetta «imposta di solidarietà sulla fortuna», introdotta da Mitterand, abolita da Chirac, reintrodotta due anni dopo dallo stesso) è che i patrimoni netti sono difficilmente accertabili. Inoltre i ricchi potrebbero essere spinti a trasferire o ad investire i loro capitali all’estero deprimendo la ricchezza in Italia. In Europa, oltre alla Francia, la patrimoniale la fanno anche Svezia e Norvegia. In Francia l’imposta dei ricchi è progressiva e parte da 790 mila euro di patrimonio. Lo scorso novembre Sarkozy annunciò l’intenzione di sopprimerla, ma il deficit di cassa che ne sortiva convinse l’Eliseo a soprassedere: garantisce ogni anno all’erario più di quattro miliardi di euro di entrate. Nessun premier italiano ha mai avuto il coraggio di istituirla anche in Italia, anche se sono molti gli economisti che la sostengono, non solo per motivi di eguaglianza sociale, ma anche perché ne beneficerebbero le casse dello Stato, riducendo rapidamente il debito pubblico. Questo ci permetterebbe di ridurre i redditi da lavoro, i più alti d’Europa dopo la Danimarca. Dunque la patrimoniale come modo per liberare l’economia d’impresa, secondo l’opinione di numerosi studiosi. Ma al momento in Italia sembra un’ipotesi molto, ma molto lontana.

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