Pianeta Tangente
Non esistono i puri

Ripartiremo più forti di prima su basi forti e diverse» assicurava Fabio Rizzi riferendosi ai guai giudiziari e agli scandali finanziari che avevano coinvolto persino la leadership di Umberto Bossi attraverso il tesoriere della Lega Nord Belsito. Fabio Rizzi non è mai stato un comprimario dentro il Carroccio, è un dirigente di primo piano che si faceva vedere e sentire sul territorio, a cominciare da Pontida.

Il suo motto, che compare anche nella sua pagina on line, è «Prima il Nord». Medico, leghista duro e puro, già senatore, rappresentava il passato e il presente di quella Lega che con Matteo Salvini si avviava a voltare pagina dopo gli scandali e ad abbracciare la nuova fase lepenista del giovane segretario. Insomma: un dirigente politico di alta levatura con radici sul campo, simbolo di quella «Lega di governo» interpretata da sempre dall’ex ministro e presidente della Regione Bobo Maroni. Un uomo molto potente Fabio Rizzi, presidente della commissione Sanità della Lombardia ed estensore della riforma del sistema sociosanitario lombardo.

Per questo il suo arresto disposto dalla Procura di Monza nell’ambito dell’inchiesta per irregolarità in appalti odontoiatrici in aziende ospedaliere lombarde travolge la Lega e non può essere certo considerato un «flatus vocis», un episodio da archiviare il più velocemente possibile. Fatta salva la doverosa presunzione di innocenza nei suoi confronti e degli altri indagati (c’è anche la moglie) va detto che nella Lega di Salvini (che lo ha sospeso «per il bene suo, della verità, della Lega e dei cittadini lombardi») ripiombano le ombre di una «questione morale» che pareva fosse stata superata dopo l’allontanamento di Bossi dalla segreteria del partito. Una decisione non facile dato che Bossi la Lega se l’era inventata e ne era il capo carismatico riconosciuto.

Non è un bel momento per il Carroccio (ma lo si può ancora chiamare così?) visto che la scorsa settimana un altro assessore leghista era finito nell’inchiesta su «Rimborsopoli» in Liguria. Tra l’altro non ha certo giovato al segretario lepenista definire in quell’occasione la magistratura «una schifezza», riproponendo il copione di vent’anni di Seconda Repubblica berlusconiana tante volte riproposto dal Cavaliere. Siamo nel 2016. C’è una crisi durissima che ancora non è finita, la globalizzazione preme alle porte dell’Europa e l’Unione rischia di scomparire.

È questo il cambiamento? Dopo il «caso Rizzi» si possono fare due ordini di considerazioni. La prima riguarda la Lombardia e Milano. Dopo il coinvolgimento dell’ex sottosegretario ed ex assessore di Forza Italia Mario Mantovani in un’altra inchiesta per appalti truccati sui dializzati (anche per lui vale la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva) ci si chiede che fine abbia fatto il vecchio mito di Milano «capitale morale» del Paese, visto che dal 1992 ad oggi nulla sembra essere cambiato, dalla Baggina al Pirellone, passando per Expo, con le tante inchieste che tengono impegnata la Procura di Milano.

La seconda considerazione riguarda la Lega, che si è sempre posta come forza dirompente e moralizzatrice, movimento di «duri e puri» che alzava la voce in nome di una pretesa «diversità» da contrapporre alla partitocrazia. Dopo la ripetuta «perdita dell’innocenza», forse è il caso di avviare una riflessione, anche per rispetto ai tanti elettori e militanti che hanno sempre lavorato gratis per una causa, che ci hanno creduto col cuore.

Non basta, per voltare pagina dopo uno scandalo, dipingere quattro scope di verde con lo vernice spray ed agitarle in aria come hanno fatto alla Fiera di Bergamo per dimostrare la voglia di fare pulizia dopo lo scandalo Belsito, quello della cartelletta «The family». Ci vogliono i fatti, e non le scope.

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