Renzi e l’Italicum
Polizza sulla vita

La sofferta discussione nel Pd sulla riforma elettorale può apparire dall’esterno come un rito da vecchia politica, una rappresentazione scenica fatta per oscure ragioni di partito, giochi di potere, vendette e trasversalismi incomprensibili. E in effetti in parte è così. Il progetto di legge che chiamiamo «Italicum» – perché è un sistema elettorale che non ha simili nel mondo delle democrazie, e bisogna vedere se sia un bene o un male – è in discussione da quando Matteo Renzi ha assunto la guida del governo e, subito dopo, ha stipulato un patto con l’opposizione berlusconiana per fare insieme le riforme istituzionali (elettorale) e costituzionali (Senato, Regioni, Province).

Da allora molte cose sono accadute: l’«Italicum» è stato più e più volte modificato (da destra e da sinistra). E, strada facendo, il volto di questa riforma è profondamente cambiato: tanto è vero che è stato appena nominato relatore (cioè una sorta di difensore d’ufficio) un deputato come Gennaro Migliore che, quando militava in Sel, votò contro la prima stesura. Rotto il Patto del Nazareno – con il che sono passati a dire no alla legge i deputati berlusconiani che pure avevano materialmente collaborato a scrivere il testo – si sono messi di traverso quelli dell’opposizione Pd anti-renziana. Pierlugi Bersani soprattutto: «Così com’è, io non l’Italicum non lo voto» ha detto.

Ma Renzi se n’è infischiato: «Ormai la discussione è stata fatta, le vostre richieste sono state in parte accettate, adesso è il momento di decidere, e si va avanti». Questa è stata la posizione che il premier ha rappresentato ieri sera all’assemblea dei parlamentari democratici conclusasi a tarda sera. Una posizione durissima, quella di Renzi, ai limiti del temerario: «O votate l’Italicum nello scrutinio finale o salta il governo, dopo un anno io daccapo non ricomincio». E se salta il governo, bisogna aggiungere anche se Renzi lo ha solo sottinteso, si va a votare con il sistema del «Consultellum», il proporzionale uscito dalla Corte Costituzionale dopo la bocciatura della vecchia legge, il cosiddetto «Porcellum».

Su questa posizione rocciosa, l’opposizione è andata a sbattere. Il primo a rimetterci è stato Roberto Speranza, giovane deputato di buone speranze, esponente dell’ala bersaniana-dialogante catapultato sulla poltrona di capogruppo alla Camera. Speranza si è speso per una mediazione, cioè per indurre Renzi ad accettare qualche modifica, un prolungamento della discussione, un nuovo passaggio al Senato e poi di nuovo alla Camera, ma nel momento in cui Renzi ha tenuto il punto, Speranza ci ha rimesso il posto e si è dimesso. L’assemblea è andata avanti dopo il suo annuncio senza fermarsi neanche un minuto: solo parte dell’opposizione – i duri alla Bindi, Civati e Fassina per intenderci - se ne è andata dall’aula. Bersani, che è invece è rimasto, ha preso la parola per dire che lui in aula non voterà l’Italicum senza modifiche.

Aldilà del sacrificio del generoso Speranza, cosa davvero accadrà? Accadrà che la spaccatura tra Renzi e la sua minoranza si approfondirà ma anche che al momento del voto in aula sull’Italicum, il progetto in qualche modo passerà, e passerà così come è, senza modifiche. La sinistra democratica, nelle sue varie componenti, mai d’accordo tra di loro, troverà il modo di distinguersi senza rompere definitivamente, e non ci saranno scissioni, forse solo qualche abbandono da parte di quelli che già hanno stretto un accordo con Sel. Se insomma non c’è un terremoto improvviso, prima di maggio l’Italicum sarà legge, e con quella legge Renzi potrà minacciare di andare alle elezioni quando vorrà (Mattarella permettendo). Con una sicurezza: che le elezioni davvero davvero non le vuole nessuno e tutti sono prontissimi a fare qualunque cosa per evitarle. Per Matteo, una polizza sulla vita.

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