Roma, cade Marino
Si fa male Renzi

Chiuso un fronte, se ne apre un altro. Vinta una battaglia, se ne presenta una seconda non meno ostica della prima. Fino a ieri sembrava che il futuro del governo e di Renzi dipendesse unicamente dalla fronda della minoranza esterna. Parato il colpo, non ha ancora avuto il tempo di festeggiare il via libera alla riforma del Senato e il premier si ritrova a dover sbrogliare il gran pasticcio combinatogli da Marino niente meno che nella capitale. Roma non è un comune qualsiasi che il segretario del primo partito d’Italia possa permettersi di perdere senza subirne un grave danno.

Non sarà, peraltro, facile al Pd romano risalire la china in cui è sprofondato dopo la figuraccia rimediata. Non sarà facile nemmeno a Renzi, per quanti sforzi abbia fatto sino all’ultimo per tenersene alla larga dalla giunta capitolina, attutire le inevitabili ripercussioni del suo capitombolo.A caricare, inoltre, la sfida di un significato politico più ampio c’è il fatto poi che sulla città sono puntati - e lo saranno ancor più nei prossimi mesi - gli occhi di tutto il mondo con l’arrivo nell’Urbe, in occasione del giubileo, di milioni di pellegrini.

A completare un quadro divenuto non poco preoccupante c’è, infine, da tener presente che il Pd romano non è nelle condizioni di affrontare con buone probabilità di successo una prova ravvicinata delle urne. Dilaniato dalle lotte intestine in atto da lungo tempo tra le varie fazioni interne, si ritrova anche con un’immagine pesantemente imbrattata dalle gravi compromissioni col malaffare romano rivelate dall’inchiesta Mafia Capitale.

Insomma, a Renzi la vita si è improvvisamente complicata, e non poco. In primavera è in calendario un turno elettorale amministrativo di per sé assai impegnativo per il premier ma che, alla luce del disastro consumato da Marino, assume un po’ il carattere di una verifica di metà mandato, se non esplicitamente di un referendum sulla sua leadership. La lesione d’immagine subita dal Pd renziano a Roma potrebbe amplificarsi in un’aperta ferita se alla malaugurata perdita della Capitale si sommasse la perdita di qualche altro capoluogo importante, come Milano, Napoli, Torino o Bologna. Eventualità da non escludersi se si pensa che è proprio in periferia, e segnatamente negli enti locali, che il «partito di Renzi» accusa le maggiori difficoltà. I recenti casi delle elezioni regionali in Veneto e Liguria sono lì a dimostrarlo.

Ma il grave è che, anche laddove il Pd riesce vincente, non è detto che lo sia nel segno del suo segretario, anzi. Emiliano in Puglia e, indietro nel tempo, Pisapia a Milano, De Magistris a Napoli, Crocetta in Sicilia hanno regolarmente evidenziato che Roma non detta legge in periferia. Tutto lascia presagire che la musica non sia cambiata anche in presenza di una leadership forte come quella di Renzi. A Napoli è già rispuntata una candidatura non proprio fresca di rottamazione. Ci riferiamo al più volte sindaco della città, governatore della Campania nonché ministro e storico dirigente del Pci, Antonio Bassolino. Segno che la ruspa del giovane fiorentino, fuori del Nazareno, fatica ad operare. Evidentemente, la «ditta» ha fondamenta piantate nel terreno più resistenti di quel che si pensi.

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