Roma-Milano
due crisi da risolvere

A riprova di quanto sia stressato il sistema politico italiano, in questo momento le due maggiori città del Paese sono di fatto senza una guida amministrativa. Roma e Milano, le metropoli guidate dai due partiti più importanti, quello che guida il governo e l’altro che glielo contende, hanno rispettivamente un sindaco dimezzato e un sindaco autosospeso. Le due vicende sono assai diverse, e lo vedremo, ma rivelano una fragilità simile.

Il nostro sistema amministrativo locale, come quello nazionale, non smette mai di fibrillare, di essere posto in crisi, di trovarsi in una situazione eccezionale o straordinaria o inconsueta, vuoi per una ricorrente crisi politica vuoi per una iniziativa della magistratura vuoi per una plateale contestazione di popolo all’operato di questo o quell’amministratore. È grave che questa fragilità cominci a mettere in mora persino una delle poche leggi elettorali che abbiano funzionato nella cosiddetta seconda Repubblica, la legge dei sindaci appunto, che ci ha consentito lunghi periodi di stabilità precedentemente sconosciuti. Eppure stiamo pian piano tornando a quella instabilità che pensavamo superata: non vanno sottovalutate, ad esempio, le crisi in Veneto, come a Padova e Verona, laddove governa una Lega in frizione col suo alleato Forza Italia o con le sue componenti interne, e nemmeno il caso Parma del sindaco Pizzarotti in rotta col suo movimento d’appartenenza. E ora appunto, Roma e Milano.

A Roma c’è, dicevamo, un sindaco commissariato politicamente e giudiziariamente. L’arresto per corruzione del suo braccio destro e le dimissioni forzate della potente assessore alla Nettezza Urbana indagata in un’inchiesta sulla gestione dei rifiuti, hanno posto Virginia Raggi sul ciglio del baratro dal quale si è salvata solo accettando di estromettere tutti i dirigenti ex alemanniani di sua fiducia e di rimanere nelle mani di un assessore veneto catapultato a Roma su indicazione della Casaleggio Associati, che nelle prossime ore diventerà vicesindaco. La Raggi non cade dalla poltrona solo perché per i grillini la guida del Campidoglio costituisce la prova generale per la conquista del governo nazionale, e fallirla così clamorosamente sarebbe un autentico suicidio. Dunque, «Virginia» è stata immobilizzata e andrà teleguidata per cercare di superare le difficoltà del momento: in realtà una crisi di consenso popolare c’è già ed è dovuta al fatto che l’amministrazione è molto al di sotto delle attese dei romani cosicché il degrado cittadino non solo non si attenua ma addirittura si aggrava. Inoltre nessuno può escludere che a breve la situazione giudiziaria possa aggravarsi, se fosse il sindaco ad essere indagata sui contratti, gli stipendi, le consulenze e le assunzioni in Giunta, l’argomento che più ha impegnato i nuovi amministratori pentastellati nei sei mesi della loro esperienza. In quel caso Grillo e Casaleggio sarebbero chiamati a dare prova di coerenza con le regole del movimento sempre sbandierate ma variamente applicate. Certo la Raggi potrebbe sempre ribellarsi all’ordine di dimettersi (ma dovrebbe pagare 150 mila euro di multa al Movimento secondo il contratto siglato al momento di candidarsi) aprendo una crisi di proporzioni ben più vaste.

Se a Roma si guarda ormai ad un sindaco in carica come a un pericolo per il suo stesso partito, a Milano è proprio l’autosospensione del primo cittadino dalle sue funzioni a provocare agitazione. Già, perché la decisione di Beppe Sala di alzarsi dalla scrivania un minuto dopo aver ricevuto l’avviso di garanzia (indagato per falso materiale e ideologico nell’appalto più grande dell’Expo) è stata da amici e nemici giudicata esageratamente impulsiva e cautelosa. Con il risultato che adesso tutti gli chiedono di tornare sui suoi passi. Centocinquanta sindaci italiani hanno sottoscritto una petizione in questo senso, il governatore della Lombardia Maroni lo invita a rimettersi a lavorare perché ci sono scadenze da affrontare e poi perché «non ci si dimette per un avviso di garanzia»; il suo sfidante elettorale Stefano Parisi, Matteo Salvini, Giorgia Meloni gli dicono di restare al suo posto. Persino l’ex magistrato del Pool Mani pulite Gerardo D’Ambrosio sostiene che l’autosospensione non ha senso. E infine, l’appello più eclatante è quello lanciatogli ieri da Matteo Renzi durante l’assemblea del Pd: «Capisco la tua amarezza, ma ripensaci». Sala pare che abbia poco da ripensarci e che a brevissimo parlerà con i magistrati, ai quali comunque la sua iniziativa deve aver messo fretta. Sarebbe infatti auspicabile che in qualunque modo queste vicende si chiudano al più presto: Roma e Milano sono troppo importanti per l’Italia, tanto più in questi momenti di incertezza.

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