Rosatellum a prova
di franchi tiratori

Il primo passo in avanti è fatto, adesso tocca al Senato varare definitivamente la nuova legge elettorale, il cosiddetto «Rosatellum 2». Una considerazione si impone immediatamente: per ottenere il sì di Montecitorio è servito che il Governo si piegasse alla volontà della maggioranza mettendo irritualmente la fiducia su una materia come la legge elettorale; fiducia che è arrivata per ben tre volte su tre diversi articoli della legge, sia pure non con i numeri che sarebbe stato lecito attendersi.

Ma subito dopo a scrutinio segreto, quando la legge doveva essere votata non solo dai partiti della maggioranza di governo ma anche da Forza Italia e Lega, il patto sulla riforma ha paurosamente vacillato: sessantasei franchi tiratori su quattrocentoquarantuno voti previsti sono tanti, sono troppi. Significa che l’intesa tra Pd, Forza Italia, Lega e Alternativa Popolare ha provocato un profondo disagio tra le fila dei deputati, e non solo: significa che i timori sul funzionamento del Rosatellum sono vasti e trasversali. Allora viene subito la domanda: se questo è accaduto alla Camera dove i favorevoli alla nuova legge sulla carta erano la grandissima parte dell’assemblea dei deputati, cosa accadrà al Senato dove il Pd è molto più debole, e dove tradizionalmente i numeri ballano? Si risponderà, tecnicamente: al Senato – regolamento alla mano – non è previsto un voto finale a scrutinio segreto che segua la fiducia come invece prescrivono le regole vigenti alla Camera. E questo mette al riparo la riuscita della legge, non certo però il risultato politico di questa operazione che rischia di essere negativa per chi ha proposto e positiva per chi si è opposto.

Negativa per il Pd, tallonato dai bersaniani, per la Lega criticata da Fratelli d’Italia, per Forza Italia alla ricerca di una nuova stagione di protagonismo.Insomma, il Rosatellum sta venendo alla luce con poca convinzione, molte riserve nascoste, altrettanti timori. Si dirà: in una legislatura come questa, che venga fuori è già un grandissimo risultato, e che si riesca a produrre una legge elettorale nuova con il concorso di partiti tra loro avversari e rappresentanti di una larga parte dell’elettorato ha quasi del miracolo. L’altra intesa, quella sul cosiddetto sistema «tedesco» che comprendeva anche i grillini è caduta al primo ostacolo, questa invece ha resistito. E la circostanza va sottolineata come merita. Seconda questione, che è poi quella che deve interessare di più gli elettori: questo sistema funzionerà? Garantirà la rappresentatività e la governabilità di cui l’Italia ha un assoluto bisogno? O invece il Rosatellum è quel coacervo di nequizie partitocratiche che hanno descritto in questi tre giorni i Di Maio, gli Speranza, i Fratoianni e la Meloni? Per rispondere a questa domanda il giurista Sabino Cassese, presidente emerito della Corte Costituzionale, ha fatto ricorso al vecchio proverbio inglese: per sapere se un budino è buono occorre assaggiarlo. Bene, lo mangeremo e poi giudicheremo. In fondo il sistema cassato dalla Corte Costituzionale, l’Italicum, è andato in pensione senza mai essere stato utilizzato.

Quando avremo il Rosatellum, il meccanismo produrrà delle coalizioni che cercheranno la supremazia in Parlamento: è facile capire allora perché contro un tale sistema si rivolta proprio il Movimento Cinque Stelle, l’unico partito che dichiara orgogliosamente di non volersi alleare con nessuno. L’unica speranza di Di Maio sarà quella di prendere una tale valanga di voti da consentirsi di governare da solo. Finora però i sondaggi non regalano ai grillini una prospettiva così gratificante.

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