Scienza, il rischio
di finire in politica

Il dottor Davide Vannoni, dottore nel senso che è laureato in Scienze della comunicazione, noto alle cronache per il «metodo Stamina», è finito nuovamente nei guai. È accusato dalla Procura di Torino di associazione per delinquere (aggravata dalla transnazionalità), truffa aggravata, somministrazione di farmaci non conformi alle attività di trattamento di gravi malattie neurodegenerative.

Dalla nuova inchiesta è emerso che numerosi pazienti, reclutati in Italia, pagavano fino a 27 mila euro per sottoporsi in Georgia al metodo Stamina, disconosciuto dalla comunità scientifica e vietato nel nostro Paese dalle autorità giudiziarie. Il Parlamento italiano aveva avviato su pressione dell’opinione pubblica un’indagine per avviare una sperimentazione - fortemente avversata da Umberto Veronesi, tra i tanti medici contrari a queste cure. La commissione incaricata di valutare i presupposti della sperimentazione bocciò definitivamente il metodo.

Al di là del merito, la vicenda di Vannoni ci spinge ancora una volta a riflettere sulle conseguenze di una medicina non scientifica contrabbandata per efficace o, al contrario, di metodi altamente scientifici come i vaccini spacciati per inefficaci. Esistono materie che dovrebbe stare lontane, molto lontane dalla politica e dall’eventuale favore dell’opinione pubblica (che ovviamente ispira la ricerca di consenso). Una di queste è certamente l’accertamento della validità dei metodi scientifici e medici (al di là ovviamente dei problemi organizzativi e amministrativi). La medicina non può essere né argomento di dibattito politico per questioni di consenso né di movimenti di piazza.

Quello che sta avvenendo coi vaccini è uno di questi casi. Perché mai un movimento politico dovrebbe andare contro certezze scientifiche che hanno fatto la storia della salvezza dell’umanità, in una lunga e continua battaglia dell’uomo contro i virus? Eppure è quello che sta avvenendo. È nota la critica nelle file dei Cinque Stelle degli «antivaccinisti» di coloro che si dichiarano contro i vaccini. Pare di ritornare a un Medio Evo lontano, in cui si curavano i malati con uova di drago e decotti di ortica. Le conseguenze, come è noto, ci sono già, con l’aumento dei casi di morbillo. Persino gli scienziati che si sono prestati a supportare questa campagna in qualche modo chiedono «che la leadership del Movimento faccia chiarezza dichiarando che certe posizioni anti scientifiche sono isolate e non rappresentano in nessun modo la voce ufficiale del M5S», come ha fatto Guido Silvestri, capo del dipartimento di Microbiologia e Immunologia dell’Università di Atlanta e direttore di una delle riviste più prestigiose del settore, cui i grillini hanno chiesto di redigere un documento sulla prevenzione dei vaccini. Il riferimento è, tra l’altro, a un esponente dei Cinque Stelle che in un post su Facebook ha di nuovo tirato in ballo l’inesistente correlazione tra vaccino antimorbillo e autismo.

Quando si affrontano questi temi si dovrebbe sempre tenere a mente una regola fondamentale, quella ricordata dal professor Roberto Burioni, illustre immunologo dell’ospedale San Raffaele: «La scienza non è democratica». Proprio così. La scienza non è democratica. Significa che i dati scientifici, come ha spiegato Burioni, «non sono sottoposti a validazione elettorale: se anche il 99 per cento del mondo votasse dicendo che due più due fa cinque, ancora continuerebbe a fare quattro. Poi ognuno è libero di dimostrare che non è vero; ma fino a quando non l’ha dimostrato, due più due fa quattro anche se molti non sono d’accordo. La scienza non va a maggioranza».

Perché la politica non dedica le sue energie a tutto il resto, dove invece di democrazia Dio sa quanto ce ne sia sempre bisogno?

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