Tra le chiese e Israele
soltanto una tregua

Com’è noto, nei giorni scorsi il Santo Sepolcro ha scioperato. I tre responsabili delle confessioni cristiane che l’hanno in custodia, ovvero Francesco Patton (custode di Terra Santa), Theophilos III (patriarca greco-ortodosso) e Nourhan Manougian (patriarca della Chiesa armena), hanno letto una breve dichiarazione di protesta contro i provvedimenti del sindaco di Gerusalemme e contro una proposta di legge in discussione al Parlamento, e hanno chiuso i battenti della basilica. Un gesto clamoroso perché «sistematica e offensiva», secondo loro, è la campagna condotta dalle autorità israeliane contro le Chiese cristiane.

Ieri è arrivato l’annuncio della sospensione dei provvedimenti del municipio gerosolimitano e del rinvio della discussione della legge. Anzi: il premier Netanyahu ha annunciato la formazione di una commissione di esperti per regolare le diverse questioni, e il Santo Sepolcro ha riaperto il suo portone ai pellegrini.

Una vittoria delle Chiese o solo una tregua? Per capirlo bisogna andare un po’ nello specifico. Nir Barkat, il sindaco di Gerusalemme, cambiando uno status quo che vige dall’epoca dell’impero ottomano, vuole tassare gli esercizi commerciali (negozi di souvenir, ostelli, posti di ristoro ma anche scuole e ospedali) risparmiando solo i luoghi di preghiera. E nel frattempo sta staccando multe per milioni di euro. La legge, invece, è quella proposta da Rache Azaria, guarda caso ex vicesindaco di Gerusalemme, ora deputata del partito centrista Kulanu. In sostanza essa prevede che lo Stato possa espropriare i terreni venduti dalle Chiese a privati, con effetto retroattivo fino al 2010, per rinegoziare con questi privati le condizioni della proprietà.

Ora, si potrebbe parlare di vittoria delle Chiese cristiane se questi fossero provvedimenti tecnici, amministrativi. Ma è un po’ difficile sganciarli dal contesto politico generale che si è sviluppato tra il 2014 e oggi, ovvero dall’approvazione del progetto di legge su «Israele Stato della nazione ebraica» all’annessione di Gerusalemme Est con la copertura Usa. Anni in cui i governi di centro-destra hanno molto lavorato per far sentire più marginali i palestinesi e anche meno graditi gli altri. Questo è il clima.

Si capisce meglio, quindi, perché i religiosi parlino di campagna contro le Chiese. Gli esercizi commerciali di Gerusalemme, con le loro esenzioni fiscali, sono l’altra faccia di quei 2 milioni di pellegrini cristiani che arrivano ogni anno per il Santo Sepolcro e che lasciano ottimi introiti non solo nelle casse delle Chiese, a cui peraltro tocca mantenere i Luoghi Santi, ma anche in quelle della città intera, che è a stragrande maggioranza popolata di ebrei e che a quel fiume di pellegrini fornisce una massa di merci e servizi. È ingeneroso il sospetto che, più che a far pagare le tasse, si pensi a mandare in malora un po’ di attività di israeliani cristiani (arabi o stranieri) per sostituirle con attività analoghe ma gestite da israeliani ebrei?

E per la legge sulle proprietà vale lo stesso discorso. È vero, le Chiese possiedono molti terreni. Quella greco-ortodossa in particolare, a quel che si dice titolare persino del terreno su cui sorge il Parlamento d’Israele, la Knesset. È chiaro però che autorizzare un esproprio retroattivo significa abbattere il valore di quelle proprietà e, di conseguenza, infliggere un danno enorme ai proprietari, cioè appunto le Chiese. Chi comprerebbe più da una Chiesa se poi il suo acquisto può essere annullato? Chi costruirebbe sul terreno di un ente religioso se poi i suoi inquilini possono essere mandati spasso?

Se è così, se cioè questi provvedimenti sono ispirati dall’attuale temperie politica, sarà meglio lasciar perdere la vittoria e accontentarsi della tregua. Di questi tempi è già molto.

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