Trasformare la crisi
in modelli di crescita

Piccoli Comuni crescono, ma non se la passano troppo bene. Crescono nel senso di numerosi: nella Bergamasca sono 167 su 242. Rappresentano il 69% del totale e lo stesso dato riguarda la quantità di superficie, ma coprono una popolazione del 30%. Siamo nella media dell’Italia dei mille campanili, mentre stiamo meglio (o meno peggio) perché il dato nazionale dei residenti nei centri sotto i 5 mila abitanti sfiora appena il 17%. Non siamo quindi in presenza di una desertificazione, il quadro è gestibile, comunque si può fare di più e di meglio.

Il problema, in ogni caso, c’è ed è strutturale, ormai un dato fisso, quasi naturale, che perdura nel tempo: lo spopolamento progressivo delle valli, l’impoverimento del territorio. Cartoline ingiallite che raccontano un passato, mentre il futuro è tutto da conquistare. In questo contesto la legge sui piccoli Comuni (di cui il deputato bergamasco Antonio Misiani è stato tra i relatori alla Camera), che viene approvata oggi dal Senato in via definitiva, può contribuire a contenere l’inverno demografico, l’abbandono dei territori più periferici: la legge punta a sostenere lo sviluppo economico, sociale, ambientale e culturale dei piccoli centri per contrastare lo spopolamento e incentivare l’afflusso turistico.

La serie storica degli indicatori nella Bergamasca esprime da tempo una tendenza che è uno standard nazionale: la popolazione si concentra nei grandi centri, o comunque a ridosso, attrattivi quanto a modelli economici, fornitura dei servizi sociali, disponibilità dei trasporti. Lo squilibrio della Bergamasca lo si avverte a colpo d’occhio: una città piccola rispetto al peso strategico che detiene e ad una grande provincia, marcata da tanti Comuni «polvere», con una pianura che ha la possibilità di diventare più dinamica. Il nucleo caldo della crescita interessa soprattutto la fascia pedemontana. La carezza affettuosa del destino sta tradendo le valli, dove il rapporto con i processi di modernizzazione incontra più difficoltà e dove s’è formato il prototipo dell’uomo bergamasco? Un destino ineluttabile, già scritto in chiave melanconica, che farebbe di questi territori una landa in solitudine, parte fissa ormai di un paesaggio destinato al declino? Perdere pezzi di umanità in carne e ossa significa smarrire le sentinelle dell’ambiente, il sapere, le conoscenze. In definitiva, la memoria storica, la tradizione di comunità cresciute nella saggezza di costumi non chiassosi.

A dispetto di numeri che appaiono impietosi, il piccolo Comune mantiene la sua utilità di prima istanza e quindi la sua salvezza chiede di reinventare un nuovo modello di sviluppo per fermare l’esodo. Agricoltura e turismo continuano ad essere carte da giocare. Occorre, però fare squadra e qui le potenzialità non sono ancora pari alla realtà, dove rimane un malinteso senso identitario che diventa chiusura e marginalità. Nei limiti delle condizioni date, le strade da percorrere non sono tante. La principale è quella di mettersi insieme, per ottenere un livello di servizi adeguato alle nuove domande e che non può essere garantito in assenza di una strategia collettiva. Questo è il punto di partenza per cercare di trasformare una crisi in una nuova opportunità: è difficile, ma ci si può provare. Tanto più che le casse dei piccoli Comuni sono quelle che sono e il quadro normativo è in chiaroscuro. La Provincia ha la funzione di supporto ai Comuni perché possano svolgere al meglio le loro funzioni, ma, dopo la bocciatura del referendum costituzionale del 4 dicembre, è in un limbo giuridico. Dalle certezze di ieri alle incertezze di oggi. Una ragione in più per reagire ad un quadro normativo non chiarissimo, ripartendo dal basso, dal municipalismo virtuoso che è nelle corde della tradizione bergamasca. Piccolo, si sa, non è più bello, ma si può gettare il cuore oltre l’ostacolo. Se non ora, quando?

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