Tricolori e battimani
Vince la semplicità

Grand soirée nel cuore pulsante di Bergamo, fra atmosfere patinate, ricordi vintage, sventolio di tricolori e cascate di battimani. Vince la sobrietà, nessuno sfolgorio di lustrini e paillettes, ma luci calde e soffuse nei palchetti del Donizetti, scrigno vellutato, emblema cittadino, addobbato senza sfarzo con poche ghirlande di bianchissimi fiori. Vincono la semplicità e l’umiltà del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che prima di far ingresso a teatro per il concerto evento di Riccardo Muti con l’orchestra giovanile Cherubini rompe il protocollo e dall’auto blu si dirige verso le transenne dove ad attenderlo c’è un centinaio di infreddoliti. Una ragazza, berretta grigia sul capo, gli porge intimorita una margherita gialla: «Grazie Presidente» sono le uniche parole che le escono di bocca. Applausi, «bravo», «bravo». Lui risponde stringendo le mani che gli si protendono avanti.

Quello di martedì 29 novembre è stato l’evento culturale dell’anno per la Città dei Mille. Sul palco centrale, il numero 17, in scacco alla superstizione, il presidente Mattarella è stato accolto da una standing ovation. All’inno di Mameli tutti sono scattati in piedi. Poi, seduto accanto al sindaco Giorgio Gori accompagnato dalla figlia Angelica, il Presidente non ha mai staccato gli occhi da quel capo sagomato, incorniciato da una chioma inconfondibile.

Muti con la bacchetta pareva pennellare l’aria, con gesti carichi di suggestione. Sul podio il «debuttante e sconosciuto» - sono parole del maestro - diventato un mostro sacro della musica, che 50 anni fa era sullo stesso gradino a dirigere un’orchestra giovanile cecoslovacca, ha letteralmente incantato il pubblico. Mattarella, l’uomo mite dallo sguardo intenso, che pare velato da un pizzico di malinconia ha mantenuto quel rigore e quella compostezza, cifra del suo stile presidenziale. L’omaggio a Donizetti nel dies natalis sulle note di Don Pasquale, è stato dedicato da Muti a Gianandrea Gavazzeni, «un grande direttore», morto 20 anni fa. Al termine della «Tragica» di Schubert è seguito un breve intervallo e alla ripresa il sindaco Gori ha voluto porgere i suoi ringraziamenti al Presidente e a Muti, oltre che al direttore artistico Francesco Micheli, al direttore del teatro Massimo Boffelli e a quanti hanno contribuito alla realizzazione dell’evento, in particolare la fondazione Meru rappresentata da Zaverio Ruggeri, che ha fatto conoscere l’impegno della stessa per la ricerca biomedica.

La serata evento era iniziata molto prima che suonasse la seconda campanella e le luci in sala si abbassassero. Dopo le 17 i giovani orchestrali erano già sul palcoscenico, ansiosi di provare, mentre nei palchi gironzolavano i cani antiesplosivo. All’esterno un folto gruppo di agenti in borghese, auto civetta, transenne. Più tardi i passi di un corazziere sono stati il preludio all’arrivo del Presidente. Il ritorno di Muti ha dato lustro alla città, ma ha contribuito anche a rispolverare memorie e archivi. Un anziano in platea confidava di essere tornato con la mente a quel 27 novembre 1966 - data del debutto del maestro napoletano a Bergamo - quando le coppiette andavano a teatro con la Fiat 124 coupé, le donne si stringevano nei cappotti Mila Schön e dopo lo spettacolo, chi se lo poteva permettere, cenava «Da Vittorio» che proprio la primavera di quell’anno aveva aperto il suo primo ristorante in città. Tutto ciò accadeva dieci lustri orsono, senza particolari eccessi, quando mondanità faceva rima con sobrietà. Quella di ieri è stata una serata speciale che rimarrà negli annali del teatro. Non a caso fra i vip non ha voluto mancare nemmeno Alexander Pereira, Sovrintendente del teatro alla Scala di Milano, dove Muti è stato chiamato a dirigere due concerti il prossimo gennaio. Speciale anche per la felice coincidenza con il giorno della nascita di Donizetti, avvenuta in quella dimora di Borgo Canale, a Bergamo Alta, idealmente unita con la funicolare, vero cordone ombelicale fra le due città, quella antica e quella moderna. Le note di Muti, chissà, saranno risuonate anche in quel luogo dove il genio musicale nacque «sotto terra», dove si scendeva con «una scala di cantina», «ov’ombra di luce mai penetrò». E pure le parole della celebre bacchetta saranno rimbombate in quelle antiche pareti, quando dopo 11 minuti di applausi, sotto una pioggia di biglietti tricolori lanciati dall’alto, con la scritta «50 anni di Muti, lustro all’Italia nel mondo», il maestro si è congedato con un messaggio: «Mi emoziono in questi momenti anche se ho la fama di un duro. Io ho fatto il mio cammino, adesso tocca a questi giovani. Questo Paese può dare molto a loro, ma spero non siano costretti a mettere gli strumenti al chiodo». E il saluto finale: «Non sono venuto per la mia faccia. Sono venuto per la cultura. Ci rivediamo fra 50 anni». E la cultura ieri ha trionfato.

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