Troppa Germania
L’Europa soffre

A chi scrive non è mai stato chiesto di votare in qualsivoglia campagna elettorale per un candidato a nome Angela Merkel e così dicasi per tutti i cittadini europei eccetto i tedeschi. Nella sua visita a Donald Trump il cancelliere ha tenuto a precisare che il suo compito è di rappresentare gli interessi della Germania. Eppure non c’è giornale o organo di informazione europeo che non metta in prima pagina l’incontro del capo del governo tedesco alla Casa Bianca. Se confrontiamo le visite di Renzi a Obama o quella di Hollande non c’è partita. Certo la novità Trump è dirompente ma l’impressione è che in Europa a dettare la linea sia Berlino. Per la nuova amministrazione americana esistono solo relazioni bilaterali.

L’obiettivo è dividere i suoi interlocutori e renderli più ricattabili. Un conto sono i rapporti multilaterali un altro è il confronto a due dove la sproporzione dei valori in campo gioca a favore della superpotenza transatlantica.

Per contrastare la tattica del «divide et impera» l’Unione europea aveva una sola arma: inviare a Washington i suoi rappresentanti istituzionali, il presidente della Commissione Jean Claude Juncker e il presidente del Consiglio Europeo il polacco Donald Tusk. Non è stato fatto perché da troppo tempo a Bruxelles la politica intergovernativa ha sostituito quella che una volta si chiamava comunitaria. In breve gli europei hanno fatto quello che ora imputano agli americani: hanno lasciato l’idea di una comunità di valori e di intenti per abbracciare la trattativa tra governi sovrani. Nel trattare in modo bilaterale le questioni comuni il risultato è che prevale quello Stato con un maggiore peso economico e politico.

Così ogni azione comune è condizionata da chi ha meno da farsi perdonare.

L’euro si è rivelato uno strumento di disciplina finanziaria e quindi economica adatta a chi è in grado di esercitarla. I tedeschi hanno una vocazione in tal senso e lo prova il fatto di aver prevenuto agli inizi degli anni duemila gli effetti nefasti della crisi con una ristrutturazione severa dell’ economia.

Il vantaggio è di averla potuta fare in tempi di vacche grasse con uno sforamento del deficit di bilancio che colpevolmente francesi e italiani hanno autorizzato. Da allora Berlino detta legge e tutti gli altri cercano la benevolenza del più grande, consapevoli di non aver i numeri per competere. La consapevolezza della propria forza e al contempo la sfiducia verso partner ritenuti troppo restii a riformare la loro economia ha indotto il governo di Angela Merkel alla diffidenza verso tutto ciò che sapesse di decisioni comunitarie. Definire europeo solo tutto ciò che è a vantaggio o quantomeno non a svantaggio degli interessi nazionali tedeschi è stata la linea prevalente. La mancata generosità verso la causa europea è la prova provata di non volere porre in essere alcuna rinuncia nel segno di una comune vocazione sovranazionale. Così ora il gioco si ritorce e la politica americana mette a nudo l’ipocrisia di un’Europa che è tale solo perchè tedesca. La Germania è costretta a misurarsi con il potente amico e concorrente da sola.

E per chi non avesse occhi per orientarsi basti guardare l’apertura di Washington verso la Grecia e la sua richiesta al Fondo monetario internazionale di ritirarsi dalle trattative sul debito ellenico. La grande colpa della Germania è quella quindi di offrire un alibi a tutti quelli che non vogliono mettere mano agli squilibri della loro economia. In Italia le rendite di posizione dei ceti parassitari annidati anche nella burocrazia, nell’assistenzialismo sono l’ostacolo primo per l’affermazione di un’idea di società basata sul merito. Adesso tutti questi potranno dire che è colpa della Germania.

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