Tutelare il territorio
e la storia per crescere

Nel contratto di governo siglato tra Lega e Movimento 5 Stelle, in tema di debito pubblico e deficit viene scritto: «L’azione del governo sarà mirata a un programma di riduzione del debito pubblico non già per mezzo di interventi basati su tasse e austerità, bensì per il tramite della crescita del Pil». Su come realizzare la crescita è poi aggiunto: «A livello nazionale, regionale e locale è quindi determinante avviare una serie di interventi diffusi in chiave preventiva di manutenzione ordinaria e straordinaria del suolo, anche come volano di spesa virtuosa e di creazione di lavoro, a partire dalle zone terremotate».

Per la realizzazione di questo programma si fa affidamento sulla possibilità di «indurre la Commissione europea allo scorporo degli investimenti pubblici produttivi dal deficit corrente di bilancio». Che ciò avvenga non è certamente scontato, vista la posizione contraria assunta fin qui dalla Commissione. C’è da augurarsi, però, che in ogni caso si trovino le risorse necessarie anche attraverso la ripresa di un’efficace azione di «spending review».

È avvertita da tempo, infatti, l’esigenza di consistenti investimenti che abbiano come obiettivi principali la tutela del territorio, la sicurezza degli abitanti, la valorizzazione delle ricchezze naturali, storiche e artistiche, il recupero e l’adeguamento del patrimonio immobiliare esistente. Non va dimenticato, che oltre un terzo della popolazione risiede in aree ad elevato rischio sismico, localizzate prevalentemente nelle regioni appenniniche e meridionali e che il 10% del territorio è soggetto ad un elevato rischio idrogeologico. Terremoti, frane e alluvioni, oltre a gravi perdite di vite umane, determinano ricorrentemente ingenti danni economici. Secondo stime del ministero per l’Ambiente, nell’ultimo ventennio i danni diretti del dissesto ecologico ammonterebbero a 2,5 miliardi l’anno. La frequenza, l’entità e gli effetti di questi eventi dipendono in parte dalla morfologia del nostro territorio, ma in gran parte anche da scelte di governi e di amministrazioni locali che hanno dato ampio spazio alla speculazione, consentendo un consumo eccessivo e sregolato del suolo. Da una recente analisi della Banca d’Italia è emerso che dal 1971 la superficie agricola utilizzata si è ridotta di oltre un quarto. Tra il 2003 e il 2011, oltre il 10% delle 2,5 milioni di abitazioni sono state edificate in modo abusivo. Circa il 25% degli immobili risulta in cattivo stato di conservazione e tra questi rientra il 90% delle scuole pubbliche che, per essenziali motivi di sicurezza, richiedono un immediato e organico piano di interventi di ristrutturazione.

Per decenni non si è tenuto conto che solo la realizzazione di una rete massiccia e ben articolata di «microinterventi» - destinati alla prevenzione, alla cura e alla manutenzione del territorio - è in grado di favorire una diffusa, rapida e sensibile ripresa dell’occupazione, specie quella giovanile, che rappresenta oggi una priorità assoluta per la stessa stabilità sociale. Altrettanto auspicabili sono interventi destinati alla valorizzazione di aree urbane di elevato valore architettonico e di numerosi siti archeologici di grande rilievo storico. Servirebbero ad alimentare flussi turistici culturali e di massa, che contribuirebbero a sostenere attività alberghiere e commerciali in grado di produrre un diffuso benessere sociale in tutto il Paese. È positivo, quindi, che nel contratto di governo le parti coinvolte abbiano trovato un’intesa sulla necessità di privilegiare interventi pubblici di questo tipo. Si tratta, ora, di passare dalle parole ai fatti, di reperire le risorse necessarie e di predisporre programmi di intervento dettagliati, che siano in grado anche di garantire un concreto coinvolgimento dei comuni, mediante il conferimento di maggiori poteri ai sindaci.

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