Una curva «muta»
Una città perplessa

In città tira aria gelida, e non solo per la neve che incombe. Spira il freddo sulle istituzioni, sul loro diritto di far rispettare la legge, su quei tre mesi di pena scanditi dal rigore, che finiscono per penalizzare una squadra in lotta per la salvezza e una città che da sempre ha cuore e respiro sincronizzati con la squadra.

Sta accadendo qualcosa che prima va raccontato e poi va capito per evitare che le sacrosante ragioni del diritto diventino torti percepiti. E le contestuali aspettative sportive di una città si trasformino in frustrazione e rancore. Nessuno può negare l’impatto negativo della violenza ultrà e nessuno ha intenzione di farlo (proprio qui, figuriamoci). Come nessuno può ritenere illegittimo il diritto delle autorità di imporre e far rispettare norme di legge stabilite dal ministero dell’Interno. La faccenda è più sottile ma decisiva.

Le quattro giornate di blocco di parte della curva nord (Avellino, Cesena, Palermo, Chievo) sono state avvertite dai bergamaschi come una punizione intransigente, determinata da un atteggiamento inflessibile per evitare nuovi focolai di violenza anche in partite - contro Palermo e Chievo - che storicamente non hanno mai suscitato allarmi. La saracinesca abbassata contro il Cagliari è invece una sorpresa, uno schiaffo al club, un no alla città alla vigilia di quella che sarebbe semplicemente stata una infreddolita festa di popolo. Non cannoni, ma Cannonau. E la decisione stride se messa a confronto in controluce con la distratta mollezza mostrata dallo Stato a Roma dopo l’ultimo derby da caccia all’uomo furente e insanguinata. E dopo il nulla siderale che alcune esibizioni muscolari hanno provocato a Genova nei dintorni di Marassi.

Il doppiopesismo non è una buona strategia per educare i figli, figuriamoci una tifoseria. E la palese discrepanza di giudizio crea a questa latitudine la frustrante percezione che ad essere considerata di serie B - quindi destinataria solo di schiaffi e castighi - sia la città. Non accorgersi di questo «mood» sarebbe grave perché significherebbe passare neppure troppo lentamente dalla parte della ragione a quella del torto. E l’inflessibilità senza dialettica e senza distinguo finirebbe per fare il gioco di chi strumentalmente comincia a ripetere - sui social, con i volantini, nel passaparola - il refrain «tutti colpevoli, nessun colpevole» per soffiare sulle braci del vittimismo. Sport nel quale chi predilige menare le mani s’è dimostrato negli anni campione del mondo. Lo conferma il fatto che la curva è comunque piena all’80% (mancano solo coloro che si rifiutano di fare la tessera del tifoso), ma è totalmente muta. Come se l’ordine di scuderia fosse: niente ingresso, niente voce.

Ecco perché una seria analisi del problema e l’abbandono dell’automatismo burocratico nel chiudere parte della curva sarebbero un passo avanti verso una soluzione convincente. Molto serenamente, ci saremmo aspettati un’apertura col Cagliari e semmai una maggiore attenzione in avvicinamento all’Inter, partita (quella sì) con elettricità nell’aria in grado di illuminare a giorno Città Alta. Il sindaco Gori è stato due volte a Roma (ministero, osservatorio del tifo) e in questa fase sta tessendo le fila diplomatiche con prefetto e questore per superare lo stallo e per restituire all’Atalanta quel calore che merita.

Nella consapevolezza che delle responsabilità collettive si deve occupare il sociologo e di quelle individuali la legge, ora è importante che la situazione si sblocchi per il bene di tutti. Tre mesi sono lunghi, marzo è lontanissimo, il mal di pancia aumenta. E buttare via la chiave della cella di sicurezza è sempre un gesto sbagliato.

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