Una nuova partita
e l’ansia di Renzi

«Ho più ansia rispetto a Expo». La prima frase di Beppe Sala mentre il vantaggio si assottigliava come quello di un ciclista in affanno è lo specchio di un’anima tormentata. Nei prossimi giorni l’ansia del supercandidato di Renzi a Milano è perfino destinata ad aumentare perché il ballottaggio con Stefano Parisi può nascondere parecchie insidie. E la stessa ansia percorre come un fremito l’intero schieramento di centrosinistra, uscito da questo primo turno con molte meno certezze di quando c’era entrato, accompagnato dalla consueta baldanza di Renzi.

Dopo aver letto i risultati il premier non si è nascosto dietro i fili d’erba: «Non sono soddisfatto», ha detto. E ha cominciato a toccare con mano due effetti elettoralmente negativi del renzismo: personalizzare troppo tutto significa non far crescere una nuova classe dirigente; spostare troppo al centro il partito significa creare disaffezione a sinistra, dove non ci saranno più idee innovative ma ci sono ancora elettori da convincere. Fatte e rifatte le debite proporzioni sono gli stessi problemi che minarono Tony Blair in Inghilterra, con una sostanziale differenza: mentre attorno a mister Labour gli amici cominciarono a scavare la buca dopo otto anni di successi, qui l’operazione è partita al primo minuto.

Problemi di Renzi, problemi di tutto lo schieramento. Perché adesso a Milano si gioca alla pari; a Torino Fassino rischia di piantarsi al suo 41,8%; a Roma è improbabile che Giachetti (pur miracolato dal suicidio del centrodestra) rimonti una Raggi in volo sulla funivia verso il Campidoglio. Questo è lo scenario in fondo allo spoglio del primo turno. Come sempre il dato percepito è più preoccupante del dato reale, che ci dice qualcos’altro: su sette grandi città al voto, il Pd ha centrato sei ballottaggi, il bistrattato centrodestra cinque, il galoppante Movimento Cinque Stelle due e la sinistra senza centro ha fatto il pieno con De Magistris nell’anomalia Napoli. Dove un miliardo di debiti non è bastato a mettere in dubbio la fiducia dei cittadini nel loro «’O sindaco».

Il movimento grillino ha mostrato capacità di evoluzione, o forse è l’elettorato ad essere ancora più esasperato di due anni fa. Sta di fatto che i Cinquestelle sono in prepotente conferma a Roma, in sorprendente ascesa a Torino ma sono sostanzialmente spariti dai radar a Milano, a Bologna e a Napoli. Sarà interessante verificare quale sarà l’indicazione di voto (se ci sarà) nel capoluogo lombardo, dove la tentazione di dare una spallata a Sala (e a Renzi) è certamente forte, ma dove non sarà semplice convincere elettori geneticamente di sinistra a votare il Parisi che si è espresso contro le piste ciclabili e l’ecologica area C in centro.

Il laboratorio meneghino sarà utile a tutti, soprattutto a Berlusconi per capire se il declino di Forza Italia - nonostante il 20% a Milano, doppiata la Lega - è irreversibile come sembra dai malinconici numeri di Roma (4,2%) e Torino (4,6%). In definitiva Milano negli ultimi vent’anni è diventata una città di centrodestra (Formentini, Albertini, Moratti prima del blitz arancione di Pisapia) e se Parisi dovesse perdere non sarebbe un miracolo sfumato, ma un mezzo disastro. Dipende sempre dai punti di vista ed è meglio metterli da parte perché con i ballottaggi sta cominciando un’altra partita. Tranne la Raggi (non si vede come possa fallire), gli altri ripartono da zero. Da oggi contano ancora di più i volti, i programmi, l’empatia con gli elettori. E le intenzioni di quei quattro italiani su dieci che al primo turno sono andati al mare. E al secondo probabilmente no.

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