Un’Italia fragile,
insicura e vecchia

Nei primi tre mesi di quest’anno si registra un aumento della mortalità del 15% rispetto al 2016, a fronte di un calo nascite del 2,6%. Un saldo negativo di 346 mila unità. Se la tendenza si conferma il saldo di nati e morti sarà negativo come nel 1944. Un anno che ha segnato la storia del Paese con l’occupazione nazista, la lotta partigiana, la lenta risalita degli alleati lungo la penisola, la partecipazione del ricostituito esercito italiano alle attività belliche contro i tedeschi di Hitler. Un Paese in guerra.

Vien dunque da chiedersi in quali dannate difficoltà si trova dunque l’Italia di oggi, dopo settant’anni di pace ininterrotta. L’aumento della mortalità fa intuire che di questo passo il primato della longevità, detenuto con il Giappone, comincia a vacillare. Gli effetti dell’impoverimento di una parte crescente della popolazione si riflettono sugli anziani. Dei 15 punti di incremento della mortalità la quota di competenza relativa all’invecchiamento incide per il 3% mentre il 12% va imputato ad una carente prevenzione, ad un’assistenza sanitaria con costi che soprattutto le famiglie più deboli non sono in grado di sostenere.

L’effetto ritardato di una crisi dalla quale l’Italia non si è ancora ripresa. Ma il vero dato sconcertante è la diminuzione ulteriore delle nascite. Nel 2010 l’Africa aveva una popolazione di 1 miliardo, secondo proiezioni delle Nazioni Unite nel 2030 salirà a 1,6 miliardi. Paesi come Uganda, Niger, Repubblica democratica del Congo hanno il più alto indice di fertilità del mondo una media di 7,5 per donna. Eppure sono Paesi considerati poveri. Non gioca quindi il fattore ricchezza. È più una percezione psicologica che blocca le giovani coppie in Italia ed ha un nome: insicurezza. Non si è sicuri del proprio futuro perchè incerte sono le prospettive economiche, tutto passa così velocemente che di certo resta ben poco, prima l’anziano trasmetteva alle giovani generazioni esperienze ritenute preziose, adesso sono inutili. In pochi anni è cambiato tutto dal modo di comunicare a quello di produrre. Un anziano diventa obsoleto come il cellulare sostituito dallo smart phone.

Il prezzo da pagare è che anche i valori tradizionali diventano desueti. Sposarsi diventa un lusso perchè la vita a due è precaria: adesso si va d’accordo ma domani? Aumentano le coppie di fatto, ma far figli diventa una scelta problematica. La globalizzazione offre opportunità ma non certo stabilità. Il mondo si apre ma poi non si sa che ne sarà del proprio posto di lavoro, delle possibilità di carriera, del proprio reddito eroso dalla bassa competitività del sistema Italia.

Ed è questo il punto centrale. Mario Draghi nell’incontro di Jackson Hole con i governatori delle maggiori Banche Centrali di due giorni fa ha parlato di crescita ottenibile per i Paesi in calo demografico solo con un aumento della produttività. È la via maestra che porta a far crescere i salari . Altrimenti non si spiegherebbe perchè un lavoratore medio in Germania guadagna in media il doppio di quello italiano. Anche lì ci sono sette milioni di mini job ma ruotano e non diventano una scorciatoia per evitare assunzioni fisse. Ma tutto questo si ottiene con la stabilizzazione economica. La manifattura italiana esporta con successo e, nonostante l’euro si apprezzi, tiene il passo.

Ma non basta. Nell’Italia di oggi una fetta di benessere se n’è andata, ma molto è anche restato. Manca solo la fiducia. Soprattutto in se stessi. Meno vittimismo, meno trasgressione e più slancio e speranza. Impedire all’Italia di cadere nelle malinconie «del diman non c’è certezza» è il compito che spetta alla classe dirigente del Paese.

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