Variante di Zogno
Telenovela infinita

«Dal prossimo ottobre a Zogno potrebbe aprire il cantiere per la variante alla statale della Valle Brembana. Il condizionale è d’obbligo perché sulla vicenda sono stati dati annunci in diverse occasioni e poi sono stati sempre disattesi, per cui la cautela è più che mai opportuna». Attenzione alle virgolette, perché il testo è una citazione e non è proprio dell’altro ieri, perché è un articolo del 10 giugno del 2001. La 470 era ancora statale, in Provincia c’era Valerio Bettoni e in Regione Roberto Formigoni. Insomma, una vita fa, e la Variante, già allora, era un tormentone.

Giochiamo facile, perché basta scorrere l’archivio de L’Eco di Bergamo per trovare una serie infinita di annunci, rimandi, polemiche, avvii, stop, ripensamenti, proteste e di nuovo proteste. Finita la telenovela dell’asse interurbano (sì, quello di Italia ’90, qualcuno se lo ricorda?), la nuova storia infinita è stata la Variante di Zogno. Una vicenda talmente intricata e assurda che anche oggi , quando ormai i giochi sono praticamente fatti, le gallerie scavate, i soldi aggiuntivi sono stati trovati e i permessi anche, non si riesce ad iniziare.

Si potrebbero scrivere libri sulla vicenda, ma la riassumiamo in pochi, cruciali passaggi: nei primi anni duemila, dopo una serie di tira e molla che duravano da almeno una dozzina d’anni, sembra che si arrivi al dunque, l’Anas autorizza i lavori, ma dopo pochi mesi ci si rende conto che qualcosa nel progetto non va, non si può partire con gli scavi. Un errore che costa caro nel cronoprogramma, perché l’opera viene accantonata e si ricomincia a parlarne solo nel 2007, quando la Provincia prepara un nuovo progetto e la Regione trova i finanziamenti, ma non tutti, mancano ancora dei soldi per coprire tutti i lavori. Il 27 settembre 2010, a dare l’annuncio che l’opera è stata appaltata è Giuliano Capetti, che oggi è amministratore unico di Infrastrutture Lombarde, mentre allora era assessore provinciale della giunta Pirovano. E sull’Eco di un paio di mesi dopo si leggeva così: «Questa è la volta buona. Dopo quasi vent’anni di progetti e rinvii, dopo una decina di annunci smentiti sempre dai fatti, la variante di Zogno sembra ai nastri di partenza». E davvero, questa sembrava la volta buona, perché a giugno del 2011 le prime ruspe arrivano a Zogno. Ci fu anche un curioso presagio, che col senno di poi apparve significativo,e che non sfuggì al cronista di allora: non c’era la data di fine lavori sui cartelli installati alle porte del cantiere. «Ma è perché i lavori non sono stati ancora ufficialmente consegnati, questione di giorni», fu la spiegazione, assolutamente in buona fede, beninteso, di Capetti.

Tutto troppo semplice. E infatti, passano un paio di anni e ci si accorge che gli scavi non sono così agevoli come si credeva. E i costi, va da sé, aumentano. L’impresa ferma i motori e si riattiva la politica, a caccia di una trentina di milioni che non erano stati preventivati. Siamo nell’autunno del 2014. I soldi vengono trovati dalla Regione, ma la ditta nel frattempo ha rinunciato ai lavori. Si parla comunque di tempi di attesa ragionevoli: nel settembre 2015 c’è chi è ancora convinto di finire (finire, non iniziare) l’opera entro la fine del 2017… Come se non bastasse, ci si mette anche la legge, perché a metà 2016 entra in vigore il nuovo codice degli appalti che, per nobili ragioni, ovviamente, complica parecchio le cose a via Tasso e dintorni: l’appalto va gestito diversamente, il progetto definitivo va messo sotto la lente di una società esterna, vengono richieste modifiche, passano i mesi e gli annunci per l’inizio dei lavori si fanno più radi e meno convincenti: si parla del 2018, dell’estate, dell’autunno… E siamo a ieri, con la notizia che non si partirà prima della fine dell’anno. E allora? E allora la valle scende in piazza, i sindaci si mobilitano e le auto sono, come al solito, ferme in coda. Tutto già visto, e tutto già scritto, purtroppo.

Eppure, studiando la tormentata vicenda di questa opera, così fondamentale per il futuro della valle, sorge il dubbio che il grande assente sia stato, nel corso degli anni, il buon senso. Perché non si spiega altrimenti come mai questi quattro chilometri di asfalto, invocati in tutti i tavoli e a tutti i livelli da almeno trent’anni, siano ancora un miraggio. E allora è fondamentale non lasciarsi prendere dal clima di assuefazione generale, da quella sorta di ipnosi collettiva tendente al pessimismo, dalla quale ci si risveglia ogni tanto, come scossi dal torpore, quando ci si accorge che qualcosa funziona, che un’opera ha rispettato i tempi previsti, che seguire le regole ed essere efficienti, anche nella pubblica amministrazione, è ancora possibile.

© RIPRODUZIONE RISERVATA