«Raccontare e non fare i furbi:
impegno di cui andare orgogliosi»

di GIORGIO GANDOLA
«Racconta, non fare il furbo». Era la frase preferita di quel genio visionario del giornalismo che risponde al nome di Dino Buzzati. La teneva su un pezzo di carta incollato con lo scotch alla macchina per scrivere. Così, per non dimenticarsela mai.

di GIORGIO GANDOLA
«Racconta, non fare il furbo». Era la frase preferita di quel genio visionario del giornalismo che risponde al nome di Dino Buzzati. La teneva su un pezzo di carta incollato con lo scotch alla macchina per scrivere. Così, per non dimenticarsela mai. Ecco, è questo l'unico punto di riferimento certo per il cronista che da oggi è al timone de L'Eco di Bergamo, vale a dire il sottoscritto.

Racconta e non cercare di condizionare gli altri. Racconta e non nasconderti dietro il pregiudizio. Racconta e non dimenticare dettagli che non ti fanno comodo. Racconta e non riempire il nulla di paroloni. In un'epoca in cui la Tv sforna opinioni a getto continuo su tutto e il giornalismo inclina pericolosamente verso il perenne e stucchevole talk show, raccontare e non fare i furbi ci sembra un'attitudine di cui andare orgogliosi.

Ci proveremo e dobbiamo riuscirci, anche perchè in caso contrario il lettore bergamasco non ci perdonerebbe. Concreto e più avvezzo al sussurro che all'urlo, il popolo de L'Eco chiede al suo giornale onestà e autorevolezza. Ma soprattutto chiede notizie ed approfondimenti che lo aiutino a capire la quotidianità e il destino di questa terra fertile e orgogliosa delle proprie radici. E qui continuerà a trovarle. Per un motivo molto semplice che da 131 anni caratterizza la vita di questo giornale: L'Eco è Bergamo e Bergamo è L'Eco.

Non c'è direttore che nell'articolo di insediamento non scriva che il padrone del giornale è il lettore. Un po' per lisciargli il pelo, un po' perchè è vero. E lo è soprattutto per i quotidiani come il nostro, dove i lettori non sono considerati il terminale di un processo economico e industriale stile Metropolis, ma persone. Persone con i loro entusiasmi e le loro debolezze, i loro sogni e le loro paure. Amici esigenti e preziosi con i quali continuare quel dialogo quotidiano che è l'essenza stessa di un giornale. E con i quali rinsaldare ogni mattina davanti all'edicola un rapporto forte di stima e solidarietà.

L'Eco è un giornale unico. Capace di valorizzare gli avvenimenti mondiali e di rendere grandi anche le piccole storie bergamasche. I primi ci rendono completi, le seconde sono l'essenza stessa del nostro lavoro. Un quotidiano nazionale, anche il più ridondante e incravattato, si limiterebbe a dare conto di ciò che accade. Noi no, noi dobbiamo voler bene a chi vive in questa terra. Compito più delicato, più decisivo in cui la sensibilità ha un ruolo fondamentale.

Interrompo la filosofia (stavo annoiando me stesso) e vi faccio un esempio. Arrivo da un quotidiano locale più piccolo, ma egualmente orgoglioso: la Provincia di Como. Due anni fa in quella splendida città, un'amministrazione sciagurata decise di erigere un muro davanti al lago per impedire che - una volta ogni cinque anni .- l'acqua passeggiasse in piazza. Con un rischio concreto, che un paesaggio immortale, lì da duemila anni, venisse oscurato per sempre. La città si ribellò civilmente, il giornale raccolse seimila firme in dieci giorni e il muro fu abbattuto. Raccontare ciò che accadeva sarebbe stato troppo facile, troppo poco. Per questo ci sono tutti gli altri. Il quotidiano del territorio, nel senso che ama il territorio, contribuisce ad affrontare e a risolvere il problema. Come dice Al Pacino in Ogni maledetta domenica: «È il football ragazzi, è tutto qui».

Vi dico due parole di me. Da trent'anni vivo con la penna in testa. Non nel senso dell'alpino, ma in quello del malato di giornalismo. Sono nato a Como più di mezzo secolo fa, ho cominciato proprio alla Provincia e ricordo il 9 novembre 1989 non per il crollo del muro di Berlino, ma per una telefonata della Iside Frigerio, la segretaria di Indro Montanelli. Aveva letto qualcosa, voleva conoscermi. Qualche settimana più tardi ero al Giornale a firmare il contratto e cominciavo un'avventura professionale che mi avrebbe portato a fare il giro del mondo un paio di volte in 18 anni, come inviato di cronaca, politica, sport, costume e società. Una vita con la valigia nel bagagliaio dell'auto, interrotta per qualche anno da caporedattore in sede.

Fino a quando l'Editore de L'Eco non mi ha chiamato nel gruppo. Prima per dirigere la Provincia di Como e adesso per affrontare la sfida più difficile: quella di sostituire un direttore del calibro di Ettore Ongis, grande professionista e fine intellettuale. Ma sono convinto che con questa redazione nessun traguardo sia precluso. Cari lettori, cercheremo di essere pertinenti e impertinenti. E di meritare tutti i giorni un sorriso e un pizzico di stima in più.

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