Mentre scrivo, mi trovo in Calabria per godere un po’ di calore familiare visto che del sole non si vede nemmeno l’ombra. Dato che siamo tornati alle temperature di novembre, continuo a guardare serie tv finché Netflix non mi chiede «Hey, ci sei ancora?». Prendete appunti: cominciamo.
«The Gentlemen» (Netflix)
Non ho mai amato il genere gangster. Cercavo una serie che mi tenesse compagnia prima e durante la cena: vi dico solo che la narrazione mi ha coinvolta così tanto che una volta sono rimasta con una cipolla in mano davanti alla tv.
Un fattore determinante nella scelta è stato sicuramente Theo James tra i protagonisti, che avevo già visto nella saga «Divergent». Per l’occasione, interpreta il nobile Edward Horniman, Duca di Halstead, ufficiale dei Caschi blu dell’Onu, richiamato in Inghilterra per la morte del padre.
Il testamento prevede che l’erede principale sia lui, anziché il suo scapestrato fratello maggiore Freddy (Daniel Ings). Freddy si è indebitato con alcuni pericolosi gangster per svariati milioni di sterline. Edward cerca di rimediare la somma per assolvere i debiti del fratello, ma si accorge che nel conto paterno c’è poca liquidità. Come non se non bastasse, James scopre che nei sotterranei dell’immensa tenuta, in accordo con l’imprenditrice criminale Susie Glass (Kaya Scodelario), suo padre aveva consentito la costruzione di un business fondato su attività illegali. Il paradosso è che Edward, per cercare di togliere la famiglia dai guai, diventerà egli stesso un criminale.
Da qui partiranno una serie di rocambolesche avventure, tra cui una scena a dir poco grottesca che vedrà Freddy travestirsi e interpretare per oltre venti minuti (e qui il tempo dell’azione coincide con il tempo del racconto) una gallina per compiacere uno dei suoi ricchi creditori.
«The Gentlemen», mettendo in discussione il ritratto da gentiluomo che si associa tipicamente al nobile inglese, rappresenta l’emergere di una nuova ondata di truffatori audaci. Tra questi ci sono i novellini sfacciati, i criminali di lunga data e gli opportunisti scaltri, tutti impegnati in manovre e inganni per scalare le vette del potere. Ogni episodio è un mix perfetto di tensione e comicità, una vera e propria commedia d’azione fondata sull’assurdo che ti tiene incollato allo schermo ridendo a più non posso, mentre ti chiedi: ma ci sono o ci fanno?
«Antonia» (Prime)
Anche in questo caso c’è una gallina, ma siamo in Italia. La prima puntata si apre con Antonia che viene trasportata in ambulanza, mentre intorno a lei due addetti della Croce Rossa discutono della differenza tra il pollo e la gallina. A detta dei due, il pollo e la gallina sono lo stesso animale, solo che il pollo è l’animale giovane, che se diventa grande e si riproduce è una gallina.
La protagonista della serie, Antonia appunto (Chiara Martegiani), è una sceneggiatrice e interprete, ha trent’anni, fa (o vorrebbe fare) l’attrice ed è affetta da endometriosi, definita da lei stessa «malattia invalidante che necessita di supporto psicologico». Solo che ancora non lo sa, almeno all’inizio. Di lei sappiamo che sia nella vita che fuori dal set sta con Manfredi (Valerio Mastrandrea), che non sembra mai comprendere il suo dolore fino in fondo, tanto che dopo un’accesa discussione lei prende la decisione di andarsene di casa, prendendosi una «pausa a tempo indeterminato».
È il giorno del suo compleanno, quando durante un provino ha un piccolo intoppo: il ciclo mestruale arriva inaspettatamente mentre sta sul palco e le macchia il vestito di scena. Antonia corre a chiedere aiuto alla sua agente tedesca Gertrud, che però risponde di essere «in menopausa dal 1986» e di non sapere come aiutarla. Inoltre, Gertrud le comunica senza nessuna empatia che, tra l’altro, vogliono licenziarla dalla produzione in cui era impegnata. Presa da quella situazione stressante e da dolori insopportabili, Antonia sviene per strada. Ed ecco come è arrivata in quell’ambulanza, che la accompagna in ospedale dove finalmente Antonia scopre che tutti quegli anni di problemi fisici hanno un nome: endometriosi, appunto.
In sei episodi di meno di trenta minuti ciascuno, si sviluppa una narrazione densa di significati. La struttura non lineare, e a momenti quasi surreale, sembra rispecchiare la ricerca di senso della protagonista, che riunisce i frammenti della propria vita e rielabora ricordi e sofferenze alla luce della diagnosi ricevuta.
La gallina che comincia ad apparire nella vita di Antonia come un miraggio diventa quindi una sorta di metafora dell’imbarazzo, del dolore, della paura di non sapere più chi si vuole essere. Questa gallina incarna tutte le domande di una donna che cerca di ridefinire il suo passato e il suo futuro alla luce di una malattia che può comportare, tra le altre cose, anche infertilità, rispondendo a dubbi quali: cosa succederà quando vorrò avere dei figli?
«Heartbreak High» (Netflix)
La prima stagione mi era piaciuta perché la rappresentazione non cerca in alcun modo di farti entrare in sintonia con Amerie, la protagonista. Siamo nel liceo Hartley, una scuola che inizialmente sembra un istituto ordinario con i soliti cliché: le ragazze alla moda, i giocatori di basket affascinanti e gli studenti che passano inosservati. Tuttavia, tutto cambia quando viene scoperta la “mappa degli amori segreti”, creata da Harper (interpretata da Asher Yasbincek) e Amerie (interpretata da Ayesha Madon), amiche per la pelle. Questa mappa contiene una rappresentazione minuziosa di tutte le relazioni affettive tra gli studenti della scuola.
A seguito di questa rivelazione, la preside obbliga tutti i nominati nella mappa a partecipare a un corso di educazione sessuale. Alla seconda stagione (rilasciata l’11 aprile) il teen drama presenta diverse tipologie di relazioni: amicizie, legami amorosi, affettivi.
La rappresentazione si interroga su come mantenere una relazione, comprendere le aspettative affettive e sessuali di un partner e come definirsi eterosessuali, omosessuali, bisessuali o pansessuali. Attraverso situazioni anche umoristiche (come il dilemma simbolico di uno dei pretendenti di Amerie che si trova a scegliere tra un hot dog e un taco) «Heartbreak High» naviga abilmente tra questi interrogativi con una varietà di toni e approcci, senza risultare pedante.
Ci lascia inoltre una domanda. «All’interno di ogni racconto, ciascuno di noi desidera essere l’eroe, ma l’unico modo per sapere se veramente lo sei, è confrontarsi con un antagonista». Non rischiamo tutti, alla fine, di diventare il cattivo nella storia di qualcun altro?
«Fallout» (Prime)
Questa serie è la rivincita degli appassionati di videogiochi. Si cala in un XXI secolo distopico, una società retro-futuristica dove l’estetica e la cultura degli anni ’50 sono rimaste saldamente radicate. Il mondo è diviso tra gli Stati Uniti d’America e il blocco comunista formato da Cina e Unione Sovietica, e vive sotto la costante minaccia delle armi nucleari. La narrazione si concentra su due protagonisti principali: Cooper Howard (Walton Goggins), un celebre attore western che si trova a fronteggiare la tragedia della guerra nucleare, e Lucy MacLean (Ella Purnell), il cui viaggio attraverso la California devastata offre uno sguardo intenso sulla sopravvivenza e sulle relazioni umane in un mondo post-apocalittico.
La regia di Jonathan Nolan contribuisce a creare un’atmosfera coinvolgente e suggestiva, mentre la fotografia, il montaggio e le scenografie catturano la macabra follia delle lande postatomiche e la violenza splatter tipica dei B-movie.
Inoltre, la serie affronta tematiche profonde, tra cui il maccartismo, la guerra fredda, il razzismo e il potere della scienza, offrendo una riflessione critica sulla società contemporanea. Pur richiamando vagamente opere come «Westworld», «Fallout» si distingue per il suo umorismo e le sue stramberie postatomiche, che conferiscono originalità alla trama. Complessivamente, la serie è un successo sia per gli appassionati di videogiochi che per il pubblico generalista, grazie alla sua capacità di sfruttare l’ambientazione e l’atmosfera di «Fallout» senza alienare gli spettatori meno familiarizzati con il franchise.
«Baby Reindeer» (Netflix)
Ho cominciato a vedere questa serie una sera che non riuscivo a prendere sonno, ed è finita che sono rimasta sveglia fino alle 2 di notte, per tentare di venirne a capo. E non sono la sola, dal momento che a partire dalla data di rilascio (11 aprile) in soli tre giorni ha accumulato 10,4 milioni di ore di visione.
La prima interazione tra i due protagonisti è abbastanza innocente: mentre lavora come barista, Donny (Richard Gadd) si mostra gentile con Martha (Jessica Gunning), seduta al bancone. Capisce, infatti, che la donna è psicologicamente provata e le offre una coca-cola. Ma una semplice buona azione scatena una vera e propria ossessione e Martha inizia a perseguitare in diversi modi Donny causando conseguenze disastrose nella vita di entrambi.
La serie si basa sull’esperienza del comico, attore e scrittore scozzese Richard Gadd, vittima di una stalker ventenne, come avverte fin da subito una scritta che appare all’inizio. Richard Gann è stato perseguitato per quattro anni da una donna che lo chiamava «Baby Reindeer» (piccola renna). All’inizio minimizzava, poi tutto precipitò. Gadd ricevette 41.071 e-mail, 350 ore di messaggi vocali, 744 tweet, 46 messaggi su Facebook e 106 pagine di lettere. L’aspetto inquietante è che inizialmente l’attore si mostra accondiscendente con Marta, pur essendo consapevole dei suoi disturbi, perfino quando, cercando il suo nome su internet scopre che aveva già avuto problemi con la giustizia per via dei suoi comportamenti problematici. Ma forse è proprio questa la chiave di lettura, ovvero che il comico non tergiversa nel suo ruolo di vittima, riconoscendo le proprie colpe e ammettendo di aver aggravato la situazione.
La serie esplora le sfumature dello stalking con una profondità umana mai vista in televisione, ribaltando i cliché tradizionali associati a questo comportamento. Unica avvertenza: non guardatela prima di andare a dormire.