Paperoga Marino

«Per farmi fuori mancava solo che mi mettessero la cocaina in tasca». Firmato Ignazio Marino, ex sindaco di Roma. Il Pasticcione supremo è andato a casa, ma non ha tutti i torti.

Passerà alla storia come un disastro della natura, ma solo per la sua idiosincrasia nei confronti del marketing e la sua incapacità - pari solo a quella di Paperoga - di evitare i vasi di fiori in caduta libera dalle finestre.

Detto questo, due anni fa il non politico Marino ha trovato una città con un miliardo di debiti (grazie ad Alemanno, Rutelli e Veltroni). Ha pedonalizzato i Fori Imperiali. Ha cominciato a scardinare i poteri sindacali e le rendite di posizione all’Atac, l’azienda trasporti più inefficiente d’Europa. Ha fermato piani edilizi molto aggressivi dei grandi palazzinari capitolini.

Ha scoperchiato la parentopoli comunale del predecessore Alemanno. Ha mandato in procura carteggi e contratti di Mafia Capitale dopo averla ereditata dai predecessori. Ha chiuso la discarica di Malagrotta (la più grande del continente), che dal 2007 era illegale per l’Europa ma che nessuno osava dismettere per i notevolissimi interessi, sotterranei e a cielo aperto.

Ha nominato il magistrato antimafia Alfonso Sabella assessore alla Legalità e alla Trasparenza, con mano libera di intervenire nel malaffare del sottobosco contiguo all’amministrazione (vedi ancora Mafia Capitale). Non ha comprato la fontana di Trevi per puro caso e - in una città come Roma - è andato a casa per «du’ scontrini». Ignazio Marino non dava fastidio solo ai folcloristici rappresentanti dell’antipolitica. Dava fastidio a quelli che contano. E che oggi brindano.

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