Quel maledetto tre per cento...

di Giorgio Gandola

Appesi al tre per cento, terrorizzati dal tre per cento. È sempre il solito parametro che non dovremmo sforare per non essere messi in mora dall’Europa e non essere sottoposti a pesanti sanzioni.

Appesi al tre per cento, terrorizzati dal tre per cento. E’ sempre il solito parametro che non dovremmo sforare per non essere messi in mora dall’Europa e non essere sottoposti a pesanti sanzioni.

È il differenziale deficit/Pil che una decina d’anni fa era percepito come tetto virtuoso alle spese pazze degli Stati europei ed oggi rappresenta un formidabile freno alla crescita. Oltrepassare la riga rossa del tre per cento sembra essere peggio che compiere un reato. Ma è bene che si sappia che la cosa vale solo per l’Italia. Nel 2003 sia Germania, sia Francia andarono allegramente al di là della deadline, ma nessuno si sognò di sanzionarle o di richiamarle all’ordine.
A quel tempo il premier Berlusconi e il ministro dell’Economia Tremonti decisero, d’accordo con i rappresentanti degli altri Stati membri, di adottare una linea morbida, già pensando: «Quando toccherà a noi, loro dovranno fare la stessa cosa».

E invece no, i teutonici nascono con l’elmetto e non hanno nessuna intenzione di usare la parola tolleranza per la faccenda. Il vestito è strettissimo, allentare un bottone significherebbe poter contare su una decina di miliardi per interventi strutturali sull’economia e i benefici della lungimiranza sarebbero nettamente superiori a quelli del rigorismo fine a se stesso. Questo probabilmente chiederà Matteo Renzi a Bruxelles, in rappresentanza di quei due italiani su tre che ritengono il maledetto tre per cento un cappio al collo del Paese. E altrettanto probabilmente lei, se non saremo capaci di imporre al Palazzo una credibile spending review, gli risponderà di no.

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